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Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

sabato 31 dicembre 2016

L'ultimo post. Buon 2017 su www.giampierogramaglia.eu


Buona Sera e Buon Anno. Questo è il mio ultimo post su questo mio vecchio blog: dal 1o gennaio 2017, sarò sul mio nuovo blog www.giampierogramaglia.eu, realizzato grazie all'indispensabile collaborazione informatica dello Studio Ahmpla e dove spero di ritrovarvi tutti.

Questo blog, avviato nella primavera del 2010 e che da allora ha ospitato praticamente tutta la mia produzione giornalistica, resterà comunque raggiungibile, sia dal nuovo blog che autonomamente.

Ringrazio tutti coloro che lo hanno visitato e, in particolare, quanti con le critiche e i suggerimenti hanno contribuito a tenerlo vivo e a migliorarlo. E spero che il nuovo blog possa crescere nel tempo anche grazie ai contributi e agli input di lettori e visitatori: per il momento, vi sono già stati caricati tutti i contenuti 2016.

A Tutti, l'Augurio di un 2017 Migliore. Buon Anno!

Usa-Russia: Putin fa il magnanimo aspettando Trump

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 31/12/2016
E’ un anno da Pallone d’Oro, per Vladimir Putin: il presidente russo fa sempre gol, quando va all'attacco e quando gioca in contropiede. Il giorno dopo l’annuncio della pace in Siria, Putin fa sfoggio di magnanimità nei confronti degli Stati Uniti e frena la spirale della nuova Guerra Fredda fra i due Paesi.
Giovedì, il presidente Obama aveva espulso 35 diplomatici e russi dagli Usa, coinvolti – è l’accusa – nelle operazioni di hackeraggio delle elezioni presidenziali dell’8 Novembre. Ieri, Putin ha deciso di non rispondere ‘occhio per occhio e dente per dente’, come si usa in questi casi e come gli suggeriva il Ministero degli Esteri russo, dandogli la lista nominativa di 35 americani da espellere.
Il contrasto tra il Cremlino e la diplomazia russa è stato, probabilmente, una pantomima. Putin strizza un’altra volta l’occhio a Donald Trump, il presidente eletto - anche grazie alle mene russe -, e dice di sperare in un “salto di qualità” nelle relazioni russo-americane dopo il suo insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio. Il disgelo potrebbe arrivare in primavera.
Con Obama e la sua Amministrazione, il discorso per Putin è chiuso. Oltre a ordinare l’espulsione dei 35 russi con le loro famiglie entro 72 ore, Obama ha disposto la chiusura di alcune residenze e centri russi e una raffica di sanzioni.
Secondo la stampa Usa, il presidente s’appresta a diffondere un dettagliato 'rapporto analitico congiunto' dell'Fbi e del ministero della Sicurezza Interna basato su materiale raccolto dalla Cia e dalle altre agenzie dell’intelligence americana e conferito alla National Security Agency. Vi si spiegherà come i funzionari russi espulsi, agendo sotto copertura diplomatica, avrebbero manipolato le elezioni americane, a favore di Trump e ai danni di Hillary Clinton.
Entro tre settimane, prima che Obama lasci la Casa Bianca, sarà poi pubblicato un rapporto ancora più dettagliato, ordinato dal presidente. Ma molti elementi relativi alle modalità con cui sono state ottenute le prove della violazione dei computer da parte dei russi e registrazioni di conversazioni resteranno classificati, per evitare di fornire indizi a Mosca su come sono stati scoperti o intercettate.
Se la freddezza di Putin non stupisce, l’attivismo un po’ scomposto di Obama colpisce e desta interrogativi anche sui media Usa. Da una decina di giorni in qua, il presidente a fine mandato mena fendenti diplomatici che non aveva mai menato in otto anni: contro Israele, facendo passare all’Onu una risoluzione anti - insediamenti e impelagandosi in polemiche con il premier Netanyahu, e contro la Russia.
Obama è uno che non sa perdere?, è ombroso e vendicativo? Certo, Trump gliene ha dette e fatte di tutti i colori, impegnandosi a smantellare - nei primi cento giorni alla Casa Bianca – il suo lascito in politica interna – la riforma della sanità – e a rivedere l’accordo sul nucleare con l’Iraq e la ripresa delle relazioni con Cuba, oltre che gli atteggiamenti verso la Russia, Israele e nel Medio Oriente.
Al Cremlino, c’è pure chi nota la coincidenza tra il cessate-il-fuoco in Siria negoziato da Putin, che pare reggere, e l’offensiva anti-russa di  un Obama – è l’illazione – stizzoso e rosicone.
Se l’immagine di Trump sui maggiori media tradizionali Usa resta negativa, quella di Obama non esce bene da questa ondata di decisioni apparentemente dettate più dal dispetto che dalla logica e dall'interesse nazionale.
Da una parte, l’attenzione s’allontana dalle mene russe nel voto Usa e dai vantaggi che ne avrebbe tratto il magnate e showman e si concentra sul botta e risposta tra Casa Bianca e Cremlino.
Dall'altra, Obama – e Putin - sembrano quasi creare le condizioni perché Trump faccia bella figura all'esordio in politica estera: migliorerà le relazioni con Israele e rimetterà in carreggiata quelle con la Russia, raccogliendo il ramoscello d’olivo portogli ieri da Putin.

Che, intanto, mostra pure attenzione all’Europa e invita a Mosca il presidente Mattarella: l’Italia è fra i Paesi dell’Ue meno inclini a usare le sanzioni contro la Russia.

venerdì 30 dicembre 2016

Siria: Putin con Erdogan annuncia la pace, Usa ed Ue esclusi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/12/2016

La pace russa fa un passo forse decisivo in Siria, mentre gli Stati Uniti dei due presidenti sono talmente assorbiti dai risvolti interni degli eventi mediorientali da assistere senza intervenire: Barack Obama e la sua Amministrazione non hanno più l’autorevolezza per farlo, Donald Trump non ha ancora il potere (ma a suon di tweet caccia il naso dovunque).

E, comunque, a Trump può anche andare bene così: il colpo di acceleratore di Putin verso la fine del conflitto sgombera l’orizzonte di un problema spinoso, anche se lascia senza voce in capitolo l’Occidente intero: l’America senza bussola e la solita Europa imbelle, costretta a prendere atto di quanto da altri concordato e ad esprimere una soddisfazione di maniera, all'unisono con l’Onu.

Il fatto che i negoziati conseguenti al cessate-il-fuoco ora annunciato, e in vigore dalla mezzanotte, si faranno ad Astana, Kazakhstan, e non in uno dei luoghi deputati della diplomazia equidistante, Ginevra o Vienna, significa che la partita è russa – o, al massimo, russo-turca - e che Putin la vuole giocare in casa (25 anni dopo la fine dell’Urss, l’unico cosmodromo russo continua a essere quello di Baikonur in Kazakhstan: segno che fra i due Paesi c’è intesa e fiducia).

E’ stato il presidente russo ad annunciare la firma della tregua tra il regime di Assad e i ribelli usciti sconfitti della battaglia di Aleppo: “Abbiamo lavorato a lungo – ha detto Putin, spartendo il merito dello sforzo di pace con il presidente turco Erdogan -; adesso serve pazienza e grande attenzione”.

Dopo quasi 70 mesi di guerra civile e oltre mezzo milione di morti, è davvero la volta buona? Se anche il cessate-il-fuoco tenesse e la trattativa di pace decollasse, la Siria non si trasformerebbe, da un giorno all’altro, in una Svizzera mediorientale: resta la presenza del sedicente Stato islamico, che ha perso terreno, ma continua a controllare porzioni di territorio; e resta la questione curda. Anche se gli eroi della presa di Idlib e della resistenza a Kobane, perduta e riconquistata, sono stati lasciati da Putin alla mercé del suo nuovo amico Erdogan, trattati alla stregua di quei terroristi di cui sono stati a lungo gli unici avversari sul terreno.

Del resto, il Medio Oriente prossimo venturo sembra una storia di uomini forti: Putin ed Erdogan, presidenti autoritari, l’immarcescibile al-Assad e il faraone al-Sisi. Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu sono per ora più interessati a celebrare l’amicizia ritrovata israelo-americana che preoccupati degli assetti tutto intorno, a patto che le milizie jihadiste siano tenute sotto scacco e che la stabilità regni, dopo il tempo dell’incertezza conseguente alle Primavere arabe, di cui restano tracce solo in Tunisia. Quanto all’Iran, l’intesa che preserva al potere al-Assad gli sta bene: Teheran ha sempre lavorato in tal senso.

Mordono probabilmente il freno l’Arabia saudita e le monarchie del Golfo, costrette a trangugiare, per il momento, un trionfo sciita. Vi sono lì germi di future instabilità.

Sul terreno, mentre in Iraq le forse di Baghdad lanciano una nuova massiccia offensiva su Mossul, la capitale dell’autoproclamato Califfo, attaccando cinque quartieri, raid e bombe anti-jihadisti uccidono decine di civili, tra cui numerosi bambini, in località della Siria ancora sotto il controllo delle milizie e dell’opposizione ad al-Assad. Lo denuncia un’organizzazione anti-regime.

Negli Usa, Obama apre un nuovo fronte anti-Trump, annunciando un inasprimento delle sanzioni contro la Russia per le interferenze degli hacker di Mosca sul voto negli Usa. Il magnate dà la colpa ai computer che “ci complicano la vita” e accusa il presidente d’atteggiamenti “incendiari”, prima d’una telefonata “chiarificatrice”, dopo la quale i due definiscono “senza problemi” la transizione – roba da Pinocchio -.

Il che non impedisce a Trump di rincuorare Netanyahu: “Sii forte, il 20 gennaio è vicino”. Con lui alla Casa Bianca, gli Stati Uniti non tratteranno più Israele “con disprezzo. L’Italia è ben contenta d’avere schivato una grana: si fosse votato in Consiglio di Sicurezza dopo il 1° gennaio, si sarebbe dovuta esprimere. Che cosa avrebbe fatto? Il premier Gentiloni fa esercizi d’equilibrio sulla trave: “Gli insediamenti non agevolano la soluzione dei due Stati. Ma cercare d’indurre Israele a negoziati isolandolo è un’illusione”.

giovedì 29 dicembre 2016

Accadde Domani: 2017; immigrazione, Ue sotto Opa pupulismo cerca risposte

Pubblicato su AffarItaliani.it il 29/12/2016

http://www.affaritaliani.it/politica/palazzo-potere/iai-immigrazione-l-ue-sotto-opa-populista-cerca-soluzioni-456549.html

martedì 27 dicembre 2016

Usa: Obama, "se c'ero io con Trump vincevo" e altri sassolini

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/12/2016

Mentre i repubblicani imbarazzano l’America, mischiando il Natale con l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, che un che di biblico lo ha, ma in senso apocalittico, Barack Obama si prende qualche soddisfazione ‘last minute’ e si concede qualche libertà in politica estera, specie con Israele –lui e Benjamin Netanyahu non si sono mai potuti sopportare l’un l’altro -. Il messaggio di Natale all’America e al Mondo suo e di Michelle è un capolavoro di sobrietà, di misura, di efficacia: già lo rimpiangi, prima ancora che se ne vada; anche perché sai quel che ti aspetta.

Trump, dal canto suo, fatta la squadra, ha un po’ ridotto il ritmo dei tweet. Adesso, sta progettando come cancellare, nei suoi primi cento giorni, l’eredità e il lascito del suo predecessore. A toglierlo dai libri di storia, però, non ci riuscirà: ci resterà di sicuro, come primo presidente nero Usa. Ma pure Donald una citazione se l’è già guadagnata: è il presidente più ricco mai eletto, il più anziano ad entrare per la prima volta alla Casa Bianca – Ronald Reagan compì 70 anni tre settimane dopo l’insediamento, lui li ha già compiuti da oltre sei mesi – e, sulla carta, il meno competente.

Obama è sicuro che, se fosse stato lui l’avversario del magnate e showman, avrebbe di nuovo vinto: lo dice in un’intervista alla Cnn con il suo consigliere David Axelrod. Peccato che un emendamento della Costituzione vieti un terzo mandato. "Se avessi potuto correre e avessi spiegato la mia visione – dice -, ritengo che avrei potuto mobilitare la maggioranza degli americani". Secondo il presidente, i suoi connazionali “condividono la direzione verso cui ci stiamo muovendo” e possono ancora essere mobilitati dai suoi messaggi di “speranza e cambiamento”.

Nell’intervista, Obama torna a criticare i democratici, che hanno ignorato interi segmenti dell’elettorato, facilitando la vittoria di Trump, e ad elogiare Hillary Clinton e la sua prestazione, "in circostanze difficili", penalizzata dal doppio standard impostole. L’onere della prova era sempre a carico suo, mentre il suo rivale passava indenne tra uno scandalo e una menzogna. Nonostante ciò l’ex first lady ha avuto oltre due milioni di voti popolari in più del suo rivale, che ha però prevalso con i Grandi Elettori, che è quel che conta.

Intanto, è a Pearl Habour il premier giapponese Shinzo Abe: restituisce la visita fatta a fine maggio dal presidente statunitense a Hiroshima, a margine del Vertice del G7. Parallelo il copione: Obama non si scusò per l’atomica sganciata il 6 agosto 1945 sulla città; e Abe non si scuserà per l’attacco di sorpresa condotto dall’aviazione nipponica contro la base alle Hawaii il 7 dicembre 1941, che fece circa 2.400 vittime e che innescò l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale.

Obama è stato il primo presidente Usa a Hiroshima; Abe, invece, non è il primo premier nipponico in esercizio a visitare Pearl Harbor. Nel 1951, dopo avere firmato a San Francisco il trattato di pace, l'allora premier Shigeru Yoshida si fermò a Pearl Harbour e depose una corona di fiori al memoriale delle vittime. Alle Hawaii, in queste ore, c’è pure Ivanka Trump, la figlia del presidente eletto: presenza inopinata, ma che non ha nulla a che vedere con quella di Obama ed Abe: è lì con il marito Jared Kushner e i tre figli per festeggiare Hanukkah, che quest’anno coincide con il Natale.

In mezzo al Pacifico, giungeranno ovattati a Obama gli echi delle polemiche israeliane, dopo l’astensione degli Usa all’Onu su una risoluzione che condanna gli insediamenti nei Territori. Votando no, come quasi sempre fatto in passato in analoghe circostanze, gli Stati Uniti, che all’Onu hanno diritto di veto, avrebbero bloccato la risoluzione. L’astensione, che gli israeliani considerano “frutto di un complotto”, ne ha invece permesso l’adozione.

Netanyahu ha bollato il voto come una vergogna, ha annunciato che Israele non la rispetterà – sarà l’ennesima violazione israeliana di un documento internazionale -, ha sospeso i versamenti all’Onu, ha congelato le relazioni diplomatiche con i Paesi che hanno votato sì, fra cui Gran Bretagna, Francia, Spagna, Giappone. Per evitare il voto, il premier aveva pure chiesto l’aiuto di Trump, che non aveva esitato ad esercitare pressioni, specie su un suo futuro buon amico, il presidente egiziano generale al-Sisi.

Accadde Domani: 2017, l'ipoteca dei populismi sull'Anno Nuovo

Scritto per AffarInternazionali e pubblicato il 27/12/2016

L’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump il 20 gennaio e la serie scadenzata di voti politici in molti grandi Paesi europei, forse Italia compresa, mettono sul 2017 una sorta d’ipoteca populista; e proprio l’avanzata dell’anti-politica dall'Ue agli Usa ravviva gli interrogativi sull’asserita generale ‘crisi strutturale’ della democrazia rappresentativa in tutto l’Occidente.

Il sì alla Brexit nel referendum britannico del 23 giugno e l’affermazione di Trump l’8 novembre, due risultati appena attenuati dalla vittoria in Austria - nelle presidenziali del 4 dicembre -dell’europeista verde Alexander van der Bellen, lasciano temere successi dei movimenti populisti e nazionalisti, xenofobi e anti-Islam, euro-scettici ed anti-euro, nella raffica di elezioni nell'Unione dei prossimi nove mesi.

Se le prime date in neretto sull'agenda 2017 sono americane – il 9 gennaio, l’avallo del Congresso alla vittoria di Trump nelle presidenziali, nonostante la sua rivale Hillary Clinton abbia ottenuto oltre due milioni di voti popolari più di lui, e il 20 gennaio l’insediamento del nuovo presidente -, gli altri giorni da appuntare sono soprattutto europei.

Va però ricordato che le crisi del Mondo, di cui Papa Francesco ha fatto un’agghiacciante sintesi, benedicendo l’umanità a Natale, restano aperte, senza una data di scadenza: Siria e Iraq, Yemen e Afghanistan, le ricorrenti tensioni mediorientali tra israeliani e palestinesi, la Libia e l’arco dell’integralismo a sud del Sahara, la Corea del Nord; e, ovunque e sempre, l’Idra dalle cento teste della minaccia terroristica. Tutte ombre con cui dovremo convivere ancora nel Nuovo Anno.

La carrellata di elezioni nell’Ue

La carrellata d’appuntamenti elettorali è eccezionale: il 2017 dell’Ue appare un percorso a ostacoli. A gennaio, il 22 e 29, ci sono le primarie della sinistra francese in vista delle elezioni presidenziali; il 15 marzo, si vota in Olanda; il 26 marzo nella Saar in Germania; il 23 aprile, c’è il primo turno delle presidenziali francesi; il 7 maggio, il ballottaggio francese e si vota nello Schleswig-Holstein ancora in Germania; il 14 maggio, si vota nella Renania del Nord – Westfalia, sempre in Germania; e, infine, il 24 settembre ci sono le politiche tedesche.

A questi appuntamenti, potrebbero ancora aggiungersi le politiche italiane. E restano da definire tempi d’avvio e ritmi del negoziato sulla Brexit, che, a oltre sei mesi dal referendum britannico, rimane un’incognita: una spada di Damocle sul capo dell’Unione e della Gran Bretagna.

Di come “costruire l’Europa federale nell'era dei populismi” si discute a Bruxelles e nelle capitali dei 28. Le famiglie politiche tradizionali europee cercano soprattutto di stornare l’insidia populista e, talora, avvertono la tentazione di rincorrere gli antagonisti sul loro terreno.

Dal dibattito fra europeisti, invece, emerge che chi ancora ci crede deve unire le energie per salvare e rilanciare il progetto d’integrazione, che, nato oltre settant'anni or sono nelle tenebre più profonde della Seconda Guerra Mondiale, celebrerà a Roma il 25 marzo 2017 il 60° anniversario della firma dei Trattati istitutivi delle tre iniziali Comunità europee, la economica (Cee), quella del carbone e dell’acciaio (Ceca) e quella dell’energia atomica (Euratom).

L’attuale processo ha perso slancio politico e ha pure perso l’appoggio dei cittadini, che, prostrati dalla crisi del 2008 e delusi dalle risposte dell’Ue, rimproverano all’Unione di non rappresentare, come sperato, un frangiflutti della globalizzazione e di non gestire il flusso dei migranti, garantendo la sicurezza.

Un modo, forse l’unico, per riscattare e fare ripartire l’integrazione è di rinnovarla, dando maggiore legittimità democratica all'azione politica europea e innestandovi una concreta prospettiva federale, nella convinzione che il vero ‘sovranismo’ non è la restituzione di sovranità ai singoli Stati, progressivamente irrilevanti, ma il conferimento di maggiore sovranità all’Unione europea, che può avere voce in capitolo nei consessi e nei processi internazionali.

La trasparenza e la democratizzazione sono una priorità della Commissione europea: il presidente Jean-Claude Juncker persegue, a tal fine, “una speciale partnership con il Parlamento europeo” e “un’accresciuta trasparenza” quando si tratta di contatti con gli stakeholders e i lobbisti.

I viottoli della speranza

C’è poco da sperare che i leader dei Grandi dell’Unione abbiano colpi d’ala europei in un contesto di sfide nazionali incerte e aperte com'è quello del 2017. Tanto più che le presidenze di turno del Consiglio dell’Ue sono sulla carta deboli: Malta nel primo semestre e l’Estonia nel secondo, due piccoli Paesi, entrambi esordienti nel ruolo.

Eppure, sarebbe l’ora d’aprire viottoli di speranza e ambizione tra le rovine di un’Unione sbriciolata nei suoi valori fondamentali - lo Stato di diritto e la solidarietà - e marginale nelle crisi mondiali, anche sull’uscio di casa, come la vicenda siriana dimostra.

Bisogna ridare ai cittadini il senso d’utilità di un progetto e l’orgoglio di appartenervi. E bisogna rispondere alle domande dei cittadini con azioni federali: gestire il flusso dei migranti e la riforma del diritto d’asilo che diventi europeo; concedere ai migranti che ne hanno diritto la cittadinanza europea piuttosto che quelle nazionali; e, ancora, affidare il controllo delle frontiere esterne all’Unione, neutralizzando le reciproche diffidenze; accelerare la promozione e la creazione d’una difesa europea, sfruttando come opportunità le sfide lanciate da Trump ancor prima d’insediarsi.

Infine, dare all’Europa una voce unica e forte nei consessi internazionali, dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu al Fondo monetario internazionale, dal G8 al G20. E migliorare la conoscenza di quanto esiste, estendendo la pratica dell’Erasmus a licei e realtà professionali – un ‘Erasmus dei giornalisti’ contribuirebbe, ad esempio, a un’informazione senza frontiere e senza pregiudizi -.

L’Italia in prima fila sulla scena internazionale

Il Governo italiano del dopo Referendum e del dopo Renzi ha l’agenda zeppa di questioni politiche, a partire dalla legge elettorale, e di problemi economico-finanziari, a partire dalle angustie di MPS. Ma il premier Gentiloni e i suoi ministri dovranno subito confrontarsi con scadenze internazionali che fanno dell’Italia una protagonista del 2017.

Con Bruxelles, Roma deve affrontare il negoziato sulla legge finanziaria, senza potersi aspettare, nella fase attuale, e dopo una stagione di pugni sul tavolo e toni guasconi, particolare bonomia, nonostante che la trattativa sia affidata a un ministro, Pier Carlo Padoan, che gode di credito presso i suoi interlocutori e la cui competenza è riconosciuta.

Il fronte europeo è, però, solo uno di quelli che vedranno l’Italia impegnata: il 2017 è molto denso di responsabilità internazionali. Dal 1° gennaio, l’Italia assume la presidenza del G7, che culminerà il 26 e 27 maggio nel Vertice di Taormina – dove almeno quattro leader saranno esordienti -, senza contare le riunioni settoriali nel nostro Paese; e sempre dal 1° gennaio l’Italia ritorna nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu sia pure solo per un anno, avendo spartito il biennio con l’Olanda; e, ancora, deve preparare le celebrazioni a Roma il 25 Marzo per il 60o anniversario della Cee.

Alla guida del G7, l’Italia dovrà coordinarsi con la presidenza di turno tedesca del G20 –il Vertice sarà ad Amburgo il 7 e 8 luglio -. Nel 2018, poi, l’Italia avrà la presidenza dell’Osce, raccogliendo l’impegnativa eredità di Germania e Austria.

L’attuale delicata situazione politica e la prospettiva di elezioni anticipate potrebbero anche indurre il governo Gentiloni a fare cabotaggio in acque internazionali; ma la densità delle responsabilità lo sconsiglia. Anche se la designazione agli Esteri d’un ministro senza né esperienza né vocazione internazionale come Angelino Alfano non garantisce la conoscenza dei dossier necessaria per agire in tempi brevi.

lunedì 26 dicembre 2016

Usa: la squadra di Trump, l'analisi delle scelte nome per nome

Pubblicato sul sito dell'Istituto Affari Internazionali il 26/12/2016: un video di Isabella Ciotti con anche Stefano Silvestri e Riccardo Alcaro

https://www.youtube.com/watch?v=d1rhPgf9IG8