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giovedì 30 giugno 2016

Onu/Ue: seggio Consiglio di Sicurezza, piano migranti, Renzi piglia poco

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/06/2016

C’è l’Italia di Conte, che va oltre ogni previsione. E c’è l’Italia di Renzi, che non riesce a vincere neppure partite sulla carta facili. Nel match all'Onu per un seggio nel Consiglio di Sicurezza, perde con la Svezia e si fa impaniare dall'Olanda in un ballottaggio infinito, da cui esce con una trovata da diplomazia creativa: Roma e l’Aja patteggiano un anno a testa, il 2017 agli italiani, che avranno la presidenza del G7 e il 60° anniversario dei Trattati di Roma, il 2018 all'Olanda. Al Vertice dell'Ue a Bruxelles, il pacchetto di decisioni sull'immigrazione finisce sotto la pila d’incartamenti delle nuove emergenze, la Brexit e poi, dopo l’attentato di Istanbul, il terrorismo. Così ne viene fuori un documento che non decide nulla, non accoglie le istanze dell’Italia e si limita a confermare il coordinamento della materia a Federica Mogherini.

La delega (non in bianco) all'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune parrebbe una buona cosa. Ma Renzi non la vive proprio così: un po’ perché i rapporti con Federica, che cerca di fare bene il suo lavoro europeo e porta ai leader una nuova Strategia Globale, si sono logorati; e un po’ perché i meriti a lui piace prenderseli in prima persona. Cerca pure di attribuirsi quelli di Conte: gli Azzurri agli Europei vincono se lui è impegnato in incontri internazionali – scrive, ammiccando -, con Putin contro la Svezia, con Hollande e la Merkel contro la Spagna; ed ora gli tocca inventarsi qualcosa per sabato – la Merkel ha già detto che cadrà nella trappola -.

Certo, il ministro Gentiloni prova a rivendersi in positivo il mezzo passo falso newyorchese: l’intesa che consente a Italia e Olanda di condividere un seggio non permanente – dice- è “un messaggio d’unità all’Ue”. E il ministro olandese Koenders vede nel testa-a-testa "un segnale d’apprezzamento per entrambi i Paesi". La soluzione salomonica, inconsueta ma non inedita, suscita un’eco positiva al Palazzo di Vetro e viene presentata come "una dimostrazione di flessibilità all'italiana, ma anche di grande intelligenza diplomatica". L’accordo matura con il coinvolgimento dei due premier, Renzi e Rutte, entrambi a Bruxelles al Vertice.

Resta, però, il fatto che l’Italia sperava di farcela senza patteggiamenti e dimezzamenti: sulla carta, disponeva, o almeno credeva di disporre, dei voti necessari, ma fra i suoi amici dichiarati ve n’erano almeno una trentina del giaguaro – tanti i suffragi mancatile, forse europei e mediorientali -. E disponeva pure di credenziali ‘onusiane’ (fondi, missioni, etc,) migliori di quelle olandesi.

Per cinque scrutini consecutivi, ne' Italia ne' l'Olanda erano riuscite a ottenere il quorum necessario, i due terzi dei votanti. 128 suffragi, e si erano anzi ritrovate in perfetta parità, con 95 voti ciascuna. Gli altri Paesi eletti nel Consiglio di Sicurezza per il prossimo biennio sono Bolivia, Etiopia, Svezia e Kazakhstan.

Fronte migranti, in sede Ue, non è andata molto meglio. Le conclusioni dei leader sugli accordi che l’Unione progetta con Paesi di provenienza africani sono più generiche di quanto l’Italia auspicava: non ci sono, come Roma chiedeva, i nomi dei Paesi africani con cui stipulare le prime intese; e non c’è nulla di concreto sui finanziamenti, nessuna cifra, manco i 500 milioni già stanziati sul bilancio Ue per rimpinguare il fondo per l’Africa.

Tutto resta affidato alla regia della Mogherini – una regia europea, non italiana - e tutto viene rinviato a settembre, quando l’Esecutivo di Bruxelles dovrà presentare “una proposta di piano d’investimenti” nei Paesi in questione “ambiziosa”. Nel frattempo, i flussi, gli sbarchi e le tragedie in mare continueranno: a fine anno, secondo le stime di Frontex, gli arrivi in Italia potrebbero raggiungere i 300 mila.

Usa 2016: Obama sul palco con Hillary, lobby armi fa spot pro-Trump

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 30/06/2016

La settimana prossima, il presidente Barack Obama ‘esordirà’ nella campagna elettorale Usa 2016 al fianco di Hillary Clinton: il 5 luglio, a Charlotte, North Carolina, i due faranno il primo comizio insieme. Obama, che ha dato il suo endorsement all’ex first lady, doveva già essere sul palco con lei  il 15 giugno a Green Bay in Wisconsin, ma la strage di Orlando il 12 giugno suggerì un rinvio.

Se Hillary ha dalla sua Obama, il suo rivale Donald Trump va sui pesi massimi: fonti di stampa ipotizzano una presenza alla convention repubblicana di Mike Tyson, l’ex campione che è amico del magnate, ma la cui immagine è macchiata da atti di violenza sportivi e comuni – l’ipotesi non è però stata confermata -.

Certo, invece, che la lobby delle armi, la potente National Rifle Association, faccia campagna per lo showman, con uno spot che ha come tema l’uccisione a Bengasi, nel settembre 2012, dell’ambasciatore degli Usa in Libia Chris Stevens e di tre marines – allora, Hillary era segretario di Stato -.

Il video di 30 secondi, costato due milioni di dollari, si intitola 'Stop Clinton, Vote for Trump' e ha come protagonista Mark Geist, veterano dei Marines e agente di sicurezza, presente a Bengasi. "Molte persone dicono che non voteranno a novembre perché il loro candidato non ha vinto - dice Geist, camminando in un cimitero -. Io conosco persone che ugualmente non voteranno. Hillary presidente? No grazie, ho combattuto a Bengasi. I miei amici non ce l'hanno fatta. Loro hanno fatto la loro parte. Fai la tua".

Intanto, un sondaggio della Quinnipiac University indica che la candidata democratica ha solo due punti di vantaggio sullo sfidante repubblicano, 42 a 40%, un margine inferiore a quelli attribuitile da altri rilevamenti recenti.

I dati confermano la sfiducia degli elettori nei confronti di entrambi i candidati: i tre quinti pensano che nessuno dei due sarà un buon presidente e ritengono che la campagna stia aumentando i livelli d’odio e pregiudizio nell'Unione. Fra quanti la pensano così, il 67% ne dà la colpa di Trump, il 16% a Hillary. (fonti vv – gp)

mercoledì 29 giugno 2016

Istanbul: terrorismo, migranti, Brexit, tragica girandola emergenze europee

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 29/06/2016

Quelle che non mancano, all’Europa, sono le emergenze: quando non sai come affrontarne una, ne esplode un’altra che ti fa accantonare la prima per contrastare l’ultima. Che resta, irrisolta, in testa alla lista delle priorità, fin che un’altra non la caccia. Una girandola tragica, che produce sfiducia e che alimenta la paura.

Prendiamo la strage all’aeroporto di Istanbul, ieri sera, e il Vertice europeo a Bruxelles, ieri e oggi. Inizialmente pensato per affrontare il problema dei migranti, il Summit è stato poi convertito, dopo il referendum shock sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, sulla Brexit. La notizia dell’attentato, giunta a riunione in corso, l’ha poi dirottato sulla minaccia terroristica, consentendo ai capi di Stato e di governo dei 27/28 di ritrovare l’unità nella condanna della strage.

Senza però avere nel frattempo affrontato l’immigrazione e neppure cominciato a sciogliere i nodi della Brexit, per non parlare del rilancio di crescita e occupazione, che restano, insieme ai migranti, le priorità assolute per i cittadini europei, ma che i leader manco trovano più sulla loro agenda.

Che poi l’unità nella condanna è un paravento, dietro il quale stanno differenze di valutazione nette su quanto sta avvenendo in Turchia. C’è chi pensa che l’Europa abbia concesso poco alla Turchia, spingendola sulla china dell’autoritarismo e dell’islamismo che sta ora percorrendo; e c’è chi pensa che le abbia concesso troppo, stringendo patti onerosi - e disonorevoli - con il regime di Ankara perché si faccia carico dei rifugiati siriani sul proprio territorio, senza incanalarli verso l’Unione sulla rotta dei Balcani. C’è chi pensa che la Turchia sia sotto attacco jihadista per il suo impegno anche militare contro il sedicente Stato islamico; e c’è chi pensa che sia assediata dai nemici interni – i curdi - ed esterni perché, a forza di doppi giochi internazionale e di repressione, ha disorientato gli amici ed ha inasprito i nemici.

C’è del vero in tutte le analisi, a seconda del momento cui si riferiscono. E, naturalmente, nessuna responsabilità turca giustifica la violenza assassina contro vittime innocenti: Istanbul oggi come Bruxelles a marzo, come Parigi a novembre, l’Europa ritrova l’unità nella solidarietà con le vittime, anche se l’essere tutti turchi non significa essere tutti Erdogan.

La condanna, la deprecazione, la solidarietà: benissimo. Ma che fare, contro il terrorismo? Ora, ci pensiamo; e, poi, fra meno di due settimane c’è il Vertice della Nato a Varsavia e lì ci penseremo con gli americani, ché senza di loro non siamo buoni a fare nulla. Se poi nel frattempo affondasse un barcone con centinaia di migranti, accantoneremo il terrorismo e ci preoccuperemo dell’immigrazione. E già ci attende a settembre il ritorno della Brexit: c’è sempre il vento d’un’emergenza a muovere la girandola.

Usa 2016: Istanbul; terrorismo, Trump cavalca minaccia, ma riconsidera bando

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 29/06/2016

"La minaccia terroristica non è mai stata così grande", afferma, appreso dell’attentato di Istanbul, Donald Trump, sostenendo che "i nostri nemici sono brutali e spietati e uccideranno tutti coloro che non si piegheranno alla loro volontà".

La notizia dell’attentati giunge al candidato repubblicano alla Casa Bianca quando s’è appena diffusa negli Stati Uniti la notizia che egli intende rivedere - fin forse a fare un passo indietro – l’ipotesi di mettere al bando i musulmani dall'ingresso negli Usa, aggiustando il tiro e rilanciando la richiesta di verifiche approfondite e l’idea di divieti da applicare nei confronti di quei Paesi dove si addestrano e si armano terroristi.

L’indiscrezione è della Cnn ed è attribuita a fonti informate. La portavoce di Trump Katrina Pierson non l’ha smentita e, pur non elaborando oltre, ha affermato che presto il candidato "metterà a punto la proposta sul tema presentando specifici dettagli".

L’attentato di Istabul ha suscitato molta emozione negli Stati Uniti. Il presidente Barack Obama, subito informato dalla sua assistente per la sicurezza interna e l'antiterrorismo Lisa Monaco, ha poi affidato al portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, la condanna “nei termini più forti possibili” dell'attacco terroristico.

Earnest ha rilevato come lo scalo turco, allo stesso modo di quello di Bruxelles attaccato a marzo, sia simbolo dei collegamenti internazionali e dei legami che uniscono le nazioni. Gli Stati Uniti - dice Earnest - restano fermi nel loro supporto alla Turchia, alleato Nato e Paese partner "insieme a tutti i nostri amici e alleati in tutto il mondo, mentre continuiamo ad affrontare la minaccia del terrorismo". (fonti vv - gp)

Onu: Consiglio di Sicurezza, l'Italia stecca e condivide il seggio con l'Olanda

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/06/2016 e aggiornato e rielaborato per AffarInternazionali.it dov'è uscito lo 01/07/2016

L’Italia stecca al primo turno e va al ballottaggio a oltranza con l’Olanda per un posto di membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Un testa a testa che ci vede sempre indietro: 125 a 113 al primo turno, 99 a 92 al secondo, 96 a 94 al terzo, 96 a 95 al quarto, fino a pareggiare sul 95 al quinto. Ma di lì in avanti i giochi potevano riaprirsi con nuove candidature.

((E allora prevale la diplomazia creativa: un accordo per spartirsi il seggio un anno ciascuno, l’Italia nel 2017, l’Olanda nel 2018, raggiunto tra il Palazzo di Vetro a New York, dove ci sono i ministri degli Esteri, e il Justus Lipsius di Bruxelles, dove ci sono i premier al Vertice europeo. La staffetta non è inedita – venne sperimentata la prima volta negli Anni Cinquanta da Jugoslavia e Filippine -, ma è rara)).

Per passare, ci vogliono due terzi dei votanti nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, circa 128 suffragi. Al primo turno, la Svezia conquista uno dei due seggi in palio per l’Europa Occidentale, con 134 voti; e passano pure Etiopia e Bolivia. Al secondo turno, ce la fa il Kazakhstan, che fa fuori la Thailandia nell'area asiatica.

Per l'Italia, sarebbe il settimo mandato. Ma questa volta non è una marcia trionfale, come nel ’94. E neppure una passeggiata, come nel 2006. A New York c'è il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, dopo che, per sostenere la candidatura, si sono spesi il presidente Mattarella e il premier Renzi.

Centrare l’obiettivo appariva, sulla carta, appariva non impossibile perché i nostri rivali, Svezia e Olanda, sono Paesi che un po’ s’elidono a vicenda – entrambi del Nord Europa, entrambi ‘piccoli’ almeno come popolazione, entrambi attenti ai diritti dell’uomo, l’uno però neutrale e terzomondista, l’altro atlantico e spesso interventista -. L’Italia poteva contare sui suoi molteplici radicamenti - europeo, atlantico, mediterraneo, persino latino-americano – e disponeva sulla carta di qualche voto in più del quorum (ma qualche amico s’è perso per strada). L’andamento degli spogli non è stato quello atteso.

Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu è composto da cinque membri permanenti con diritto di veto (cioè i vincitori della Seconda Guerra Mondiale e le potenze nucleari legittime: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) e 10 non permanenti, che ruotano ogni due anni cinque alla volta, con mandato a partire dal primo gennaio. Che il posto sia ambito e prestigioso lo conferma, se ce ne fosse bisogno, il fatto che, proprio ieri, la Germania, che lo ha lasciato nel 2012, si sia ri-candidata per un mandato biennale, il 2019-’20.

L’ultima volta italiana fu nel 2007-’08 – ambasciatore Marcello Spatafora: fummo i più votati, pari merito con il Sud Africa-. Ma nella leggenda della diplomazia è entrato il biennio 1995-’96, quando prendemmo più voti della Germania: l’ambasciatore era Francesco Paolo Fulci, mitica feluca, che portò a casa consensi persino dispensando allenatori di calcio nostrani a improbabili nazionali d’arcipelaghi polinesiani. L'esordio fu nel 1959, quando i membri non permanenti erano ancora sei: l’Italia è da 60 anni al Palazzo di vetro – vi entrò nel 1955 -.

Questa volta, la campagna elettorale è affidata all'ambasciatore Sebastiano Cardi e al suo vice, pure ambasciatore di rango, Inigo Lambertini: una coppia d’assi, messa insieme per centrare l’obiettivo,, alla fine raggiunto a metà.

La ricerca di consensi suggeriva alla diplomazia italiana atteggiamenti non urticanti nella fase pre-voto, pure verso Paesi non particolarmente virtuosi, ad esempio, nel rispetto dei diritti dell’uomo (anche se poi il premier non si faceva scrupolo di prendere a ceffoni i partner dell’Ue). E la gestione ferma e giusta d’una tragedia come quella al Cairo di Giorgio Regeni può essersi riflessa nelle urne.
Ma l’Italia non puntava solo sui salamelecchi delle visite ufficiali e sulle cortesie diplomatiche: può giocarsi credenziali importanti, è l’8° contributore Onu - ed il primo occidentale -, quanto a truppe in missioni di pace, è in prima fila nei salvataggi dei rifugiati in mare, vuole la moratoria della pena di morte e promuove l’uguaglianza di genere e i diritti di donne e bambine.

Uno dei punti di forza della candidatura era la disponibilità italiana alla riforma – attesa da anni - dell'Onu e, in particolare, del Consiglio di Sicurezza. L'Italia chiede da tempo maggiore trasparenza e più rotazione (ben 68 Paesi non hanno mai fatto parte del Consiglio), dando maggiore attenzione ai nuovi equilibri economici e geopolitici.

Creato nel 1945, il Consiglio di Sicurezza è l’organo dell’Onu che delibera su atti di aggressione o di minaccia alla sicurezza e alla pace: ha "la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale", decide le sanzioni e autorizza interventi armati. Le decisioni richiedono una maggioranza di almeno 9 dei 15 membri e nessuno dei cinque membri permanenti vi si deve opporre.

Il 29 settembre, il premier Renzi aveva illustrato motivi e punti di forza della candidatura di fronte all'Assemblea generale: "Costruire la pace di domani", il motto dell'Italia. Tra i settori in evidenza, la cooperazione, in particolare in Africa; l'impegno contro il terrorismo ma anche quello a favore della cultura, a partire dalla proposta dei Caschi blu della cultura; la parità di genere; il clima; oltre alla storica battaglia per la moratoria della pena di morte. 

Come punti di forza l'Italia contava sulla posizione strategica al centro del Mediterraneo e sul ruolo nell’accoglienza dei migranti, sulla presenza nelle missioni di pace internazionali, sull'inclinazione al multilateralismo. Tra i Paesi sostenitori, l'Italia ne annoverava molti dell'America latina, diversi arabi e mediterranei, alcuni asiatici. Non tutti hanno mantenuto le promesse fatte.

martedì 28 giugno 2016

Usa 2016: alla borsa dei nomi, Hillary e Bill surclassano Donald e Melania

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 28/06/2016

I Clinton meglio dei Trump nelle ‘elezioni’ dei nomi: all'anagrafe, è boom di Hillary ed è pure grande ritorno del tradizionalissimo Bill, mentre  Donald e Melania crescono (ma poco al confronto). A rivelare ed analizzare le tendenze della politica attraverso i neonati americani classe 2016, è la banca-dati di 'Baby-Center', setacciando 115.000 nomi già registrati quest’anno.

"I neo-genitori scommettono così che il proprio pargolo avrà il nome del prossimo presidente", commenta una responsabile del Baby-Center, Linda Murray, citata da Nicoletta Nencioli dell’ANSA.
Fra le bambine, è boom di Hillary: +142%, rispetto all'equivalente periodo 2015. Aumentano pure, ma meno, le Chelsea – come l’unica figlia dei Clinton - (+18%) e le Charlotte – come la nipotina dell'ex first lady - (+17%).

Lato Trump, fa furore Melania, come la moglie del candidato repubblicano, nome sino a un anno fa piuttosto raro In America, salito nelle scelte del 36%. Lieve aumento pure per Ivanka, come la figlia del magnate: 4%.

Fra i maschietti, Bill, + 113%, schianta Donald, +8%: i genitori americani puntano sul ritorno alla Casa Bianca dell’ex presidente come ‘primo marito’, piuttosto che sull'ingresso da presidente dello showman.

Mancano, invece, dati per Elizabeth, nome sempre in voga, ma la presenza di Hillary Clinton ed Elizabeth Warren, insieme ieri sul palco d’un comizio a Cincinnati, nell’Ohio, è stato un evento saliente della campagna: era la prima volta che le due donne, la candidata alla Casa Bianca e la senatrice del Massachusetts, comparivano insieme. La Warren, paladina dei progressisti, ci mette entusiasmo ed energia attaccando Trump senza esclusione di colpi e arringando la folla a sostegno di Hillary. Che ringrazia "l'amica e la leader" con altrettanto entusiasmo. (ANSA - gp)

lunedì 27 giugno 2016

Usa 2016: sondaggi; Brexit e razzismo, Trump perde colpi e punti

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 27/06/2016

Sondaggi disomogenei, nella corsa alla Casa Bianca: per alcuni rilevamenti, Hillary Clinton prende il volo su Donald Trump; per altri, il vantaggio dell’ex first lady sul magnate dell’immobiliare resta contenuto. La Brexit può avere un peso sui risultati: dopo il referendum britannico, gli americani sono più preoccupati e sono più inclini ad affidarsi all'esperienza che alla turbolenza.

Tanto più che lo showman inanella dichiarazioni incendiarie: dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, preconizza quelle di Francia, Spagna e Italia, definendo – in un’intervista a La Stampa – “irrilevante” l’appoggio alla rivale di Matteo Renzi.

L'ultimo sondaggio di Washington Post e Abc vede la Clinton avanti di 12 punti, 51% a 39%, e ricalca l’indicazione Reuters/Ipsos, con l’ex first lady avanti di 13 punti. Ma Wall Street Journal e Nbc danno Hillary in vantaggio di soli cinque punti: 46% a 41%, posizioni relativamente stabili rispetto a un mese fa – Trump perde due punti -.

Mentre la Clinton va al Gay Pride di New York e consolida la sua popolarità nella comunità Lgbt, una buona notizia le arriva dalla popolarità del presidente Barack Obama, mai così alta da maggio 2011: il presidente s’è da poco impegnato a fare campagna per l’ex first lady. Per WP/Abc, l’indice di gradimento di Obama è al 56%, il massimo dall’uccisione di Osama bin Laden, capo di al Qaida e mente degli attacchi all’America dell'11 settembre 2001.

Il rilevamento WP/Abc mette in evidenza un diffuso e crescente disagio dell'elettorato americano nei confronti di Trump, anche di una parte dell'elettorato conservatore (circa un terzo) che non ne condivide la retorica aggressiva.

Non piace alla maggioranza degli americani che il magnate gestisce le posizioni di politica estera mentre cura i suoi affari, tipo le uscite sulla Brexit mentre era in Scozia per inaugurare un golf club di sua proprietà.

Così circa due americani su tre ritengono che Trump non è qualificato per guidare il Paese, tremano all'idea che possa diventare presidente, non condividono le sue affermazioni su donne, minoranze e musulmani. In molti lo ritengono razzista, soprattutto riferendosi alle affermazioni sui messicani. (fonti vv – gp)

domenica 26 giugno 2016

Usa 2016: incontro con Peter Hart, guida al voto del guru delle elezioni

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 26/06/2016

Neppure lui, guru per antonomasia delle campagne elettorali negli Stati Uniti, ha una risposta certa alla domanda da un miliardo di dollari di Usa 2016: “Perché Donald Trump esercita un richiamo sugli elettori americani?”. Il fenomeno Trump pone interrogativi irrisolti anche a Peter Hart, uno degli analisti più apprezzati dell’opinione pubblica negli Usa, che segue le campagne presidenziali da oltre mezzo secolo e svolge pure ruoli di consigliere politico.

Di passaggio a Roma, Hart, 82 anni, ha distillato la sua visione a un gruppo di giornalisti ristretto, su quella che lui stesso giudica “la corsa più inusuale e la meno pronosticabile dal 1968” – l’anno che la campagna fu tragicamente segnata dagli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy, candidato alla nomination democratica -.

Uno schema classico è che le elezioni presidenziali si collocano sotto il segno o della continuità o del cambiamento: il 2016 dovrebbe logicamente essere nel segno del cambiamento. Ma il quadro non è chiaro ed è complicato dal fatto che i due candidati hanno percezioni negative mai così alte: al 60% degli elettori non piacciono né l’uno né l’altro.

Di Trump, Hart osserva che ha difficoltà con l’establishment repubblicano, ma riesce a esercitare “un forte richiamo” sulla classe lavoratrice. Lui, però, si rende ostili intere porzioni dell’elettorato, millennials, neri, ispanici, donne, e ha pure contro un quarto dei tradizionali elettori repubblicani.

“E’ un candidato caotico, risponde sul tamburo e non ha background, salta nel fango ogni giorno e ha un rapporto difficile con la libera stampa, come dimostra la messa al bando dalla sua campagna del Washington Post … La Brexit e Trump sono parte dello stesso schema”, almeno nei confronti dell’immigrazione: “Se non è proprio xenofobia, è come minimo difficoltà a posizionarsi rispetto a una società multietnica”.

E Bernie Sanders? “Sanders sta ai Clinton come Trump sta ai repubblicani: il suo punto forte è che ‘i ricchi stanno meglio e i poveri stanno peggio’, in una società asimmetrica. Ma i sostenitori di Sanders voteranno Hillary in larga maggioranza: al 90% odiano Trump”. Indicazioni che i sondaggi più recenti confermano.

Resta, appunto, Hillary Clinton. Uno dei suoi problemi è che “Trump ha un messaggio, ‘Make American great again’, dove l’accento è sull’again, mentre lei non ha un messaggio e lo sta ancora cercando … Il fatto di essere donna le gioca a favore, la votano vedendola come moglie, sorella, figlia … Ma lei è lontana dalla gente, mentre Trump sa essere vicino alle persone”.

Barack Obama è figura centrale di queste elezioni, “può esercitare un’influenza pro Hillary”. Anche “l’instabilità internazionale gioca a favore di Hillary, perché, quando le cose sono difficili, la gente tende ad affidarsi a esperti … Però, vicende come quelle di Orlando possono favorire Trump …”.

Quanto ai ticket, Hart pensa che Trump cercherà qualcuno che gli dia credibilità e la Clinton qualcuno che la accrediti a sinistra - ma sarebbe sorpreso se fosse Elizabeth Warren o lo stesso Sanders -. Il senatore del Vermont ha però “costretto” l’ex fist lady “a muoversi a sinistra, mentre lei ha tendenza a muoversi al centro”.

Le convention saranno “affascinanti”: “Fra i democratici, ci sarà unità. Fra i repubblicani, invece, non ci sarà e molto dipenderà dall'entità delle proteste a Cleveland”.

Infine, gli Stati decisivi: i soliti, Ohio, Florida, ma anche Colorado e New Mexico, e pure Virginia e North Carolina. “Trump – avverte Hart - può fare breccia in Ohio, Pennsylvania, Wisconsin”. (gp)

sabato 25 giugno 2016

Usa 2016: Brexit, Hillary torna in doppia cifra, ma tsunami può travolgerla

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 25/06/2016

Hillary Clinton torna ad avere su Donald Trump un vantaggio a doppia cifra, per la prima volta dopo la strage di Orlando la notte tra l’11 e il 12 giugno: secondo il sondaggio Reuters/Ipsos, è avanti di 13 punti, con quasi il 46,6% delle preferenze contro il 33,3%. I dati non rispecchiano ancora l’eventuale impatto della Brexit sull’opinione pubblica negli Usa.

Trump in Scozia - In missione d’affari in Scozia, ieri, il candidato repubblicano alla Casa Bianca aveva definito “fantastico” che il popolo britannico abbia “ripreso il controllo del suo Paese”, votando di uscire dall’Ue. Trump, lì per inaugurare il campo da golf del Trump Turnberry, un hotel di lusso, ha insistito sul "parallelismo autentico" tra la sua campagna e il referendum sulla Brexit:  "La gente vuole riprendersi indietro il proprio Paese, vuole l'indipendenza".

Un parallelismo confermato dal Washington Post, che assimila l’esito del referendum ai successi della campagna di Trump. Il magnate arriva ad auspicare un effetto domino nell’Unione europea e fa una battuta sull’impegno profuso dal presidente Obama contro la Brexit: “Se non si fosse intromesso…”.

Davanti al suo resort, garriva una bandiera messicana, innalzata da un cittadino britannico in segno di dissenso per i suoi commenti sugli immigrati e, in particolare, i messicani.

Hillary a Raleigh - Per Hillary Clinton, favorevole invece alla permanenza della Gran Bretagna nell’Ue, l'esito del voto e "la fase d'incertezza economica" che ne deriva rendono ancora più forte “la necessità d’una guida" alla Casa Bianca "pacata, solida, esperta", per "proteggere le tasche e l'esistenza degli americani, sostenere i nostri amici e alleati, difendere i nostri interessi"; e, inoltre, confermano il "bisogno di fare quadrato tra di noi per superare le sfide come Nazione, e non di farci a pezzi l'uno con l'altro".

Il commento sulla Brexit è, dunque, per l'ex first lady un’occasione in più per attaccare Trump, alludendo alla sua impreparazione sui grandi temi internazionali e alla propria ben maggiore affidabilità. Il magnate, del resto, non risparmia critiche alla Clinton, che ha recentemente definito “una bugiarda di classe”.

Nello specifico, la candidata democratica alla Casa Bianca ha ricalcato le dichiarazioni già rilasciate dal presidente Obama, anch’egli contrario alla Brexit: "Rispettiamo la scelta del popolo britannico", ha affermato durante un comizio a Raleigh (North Carolina). "Ribadiamo l'incrollabile impegno dell'America nello speciale rapporto con quel Paese e nell'alleanza transatlantica con l'Europa".

Sanders alla Msnbc - Per Bernie Sanders, il voto sulla Brexit "indica che l'economia globale non funziona per tutti, non negli Stati Uniti e non nel Regno Unito". La globalizzazione, rilevato l’antagonista della Clinton alla Msnbc, continua a privilegiare i profitti della multinazionali rispetto al benessere dei lavoratori. "Mi preoccupa davvero il crollo della cooperazione internazionale, quando invece ne occorrerebbe di più", sottolinea Sanders, aggiungendo che, comunque, "non dobbiamo mai dimenticare chi rimane indietro”.

Think tank e analisti, campanello d’allarme per Clinton e tsunami in arrivo negli Usa – Richard Haas, presidente del Council on Foreign Relations, una delle implicazioni della Brexit è “un campanello di allarme” per Hillary Clinton, che “deve stare attenta alle spinte nazionalistiche e populiste di natura sia politica che economica, deve capire come affrontare efficacemente questo sentimento populista che reagisce a una percezione di minaccia che viene dall'immigrazione".

Politico rileva che gli elettori britannici non hanno solo provocato uno shock al mondo e ai mercati, ma hanno anche ignorato il presidente Obama, caricato Hillary Clinton di un potenziale fardello economico e iniettato energia nelle correnti populiste su entrambe le sponde dell'Atlantico: l’esito del referendum è uno tsunami che si dirige verso gli Usa.

Per la campagna della Clinton, saranno cruciali le ripercussioni sull'economia della decisione presa dal Regno Unito. Se le previsioni negative in questo senso risulteranno accurate - scrive Politico -, bisogna aspettarsi un rallentamento economico innescato dalla Brexit, che può influire sulla corsa alla Casa Bianca.

Visto lo scarto rispetto ai sondaggi, il risultato potrebbe inoltre suggerire che i rilevamenti in corso sottovalutino la misura in cui l'elettorato occidentale sia stufo dei politici di mestiere e preoccupato per il terrorismo integralista e l’immigrazione. (fonti vv – gp)

Usa 2016: democratici; Sanders s’impegna, a novembre voterò Hillary

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 25/06/2016

Per la prima volta, Bernie Sanders s’impegna a votare per Hillary Rodham Clinton l’8 Novembre, l’Election Day. Il senatore del Vermont tecnicamente ancora in lizza per la nomination democratica a Usa 2016, e che di Hillary è stato acerrimo avversario durante tutte le primarie, punta i suoi strali sul candidato repubblicano Donald Trump e non più sull’ex first lady.

Intervistato dalla Msnbc, Sanders ha risposto un secco e laconico “Sì” alla domanda se fosse pronto a votare la Clinton. Il senatore che si definisce ‘socialista’ ha quindi ribadito l’auspicio consueto che la candidata democratica faccia proprie alcune sue proposte, come l'istruzione superiore o la sanità pubbliche e gratuite per tutti, sul modello del welfare all'europea.

Riconoscendo di non potere più ottenere la nomination, Sanders intende lavorare con Hillary al fine di “plasmare un’agenda democratica il più forte possibile”, sulla base della quale i repubblicani saranno battuti.

L'obiettivo principale, ha spiegato Sanders, è però impedire che alla Casa Bianca vada un individuo come Trump. "Affinché Trump sia sconfitto, farò qualsiasi cosa", ha assicurato: “Questo è il punto: per il nostro Paese, sarebbe un disastro se fosse eletto. Non abbiamo bisogno di qualcuno la cui pietra angolare consiste nell'intolleranza e negli insulti rivolti a messicani, ispanici o musulmani". (fonti vv – gp)

venerdì 24 giugno 2016

Usa: immigrazione, la Corte Suprema gela Obama e gli ispanici

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/06/2016

Un colpo al cerchio, forte, e un colpetto alla botte, ben assestato: la Corte Suprema degli Stati Uniti rimane in stallo sulla riforma dell’immigrazione del presidente Obama e la lascia di fatto incagliata nelle sentenze contrarie di alcune corti locali; ma dice sì alla discussa introduzione di quote razziali, una sorta di quote rosa per colore della pelle e appartenenza etnica, negli Atenei statali.

Il doppio verdetto entra nella campagna elettorale e il mancato avallo della riforma Obama, che apre un percorso verso la cittadinanza a milioni d’irregolari, va a vantaggio di Donald Trump, che propugna, invece, rimpatri di massa e muri per impedire l’ingresso nell’Unione.

A reagire negativamente, prima della Casa Bianca, è la rivale di Trump, la candidata democratica Hillary Clinton, che bolla come “inaccettabile” la mancata decisione della Corte Suprema. Obama, poi, denuncia “un colpo al cuore” alle speranze di milioni di immigrati e invita gli americani a non averne “paura”.

Canta, invece, vittoria lo speaker della Camera, e massimo esponente repubblicano, Paul Ryan: "E' il Congresso che fa le leggi, non il presidente. La Corte Suprema ha ribadito questo principio fondamentale".

Ryan non condivide le posizioni di Trump sull'immigrazione, che alienano ai repubblicani il voto degli ispanici, ma neppure l’approccio morbido dell’Amministrazione democratica. E il principio cui si richiama può applicarsi anche ai controlli sulle vendite delle armi introdotti da Obama con i propri poteri esecutivi.

Sulla riforma dell’immigrazione, i giudici supremi si sono divisi a metà: quattro a favore e quattro contro. Ma se il collegio fosse stato al completo, con il giudice ultra-conservatore d’origine italiana Antonin Scalia, scomparso improvvisamente a marzo, sarebbe andata pure peggio, perché la Corte si sarebbe pronunciata contro.

In assenza di una maggioranza, la riforma di Obama rimane bloccata, ma non è bocciata. Valgono, però, le sentenze contrarie espresse da corti d’appello statali sulla base dell’asserto che il presidente è andato oltre i poteri attribuitigli dalla Costituzione.

Nell'attesa che la Corte Suprema ritrovi il suo assetto completo, lo stallo rappresenta una sconfitta per Obama, ma soprattutto una tegola per milioni di irregolari, che speravano di vedersi riconoscere il diritto di lavorare e vivere legalmente negli Stati Uniti.

Il Senato a maggioranza repubblicana tiene per il momento bloccata la nomina del nono giudice proposto da Obama: il calcolo è di attendere l’esito delle elezioni presidenziali dell’8 Novembre. Se vincerà Trump, i repubblicani attenderanno che sia lui a designare il nono giudice; se vincerà Hillary, s’affretteranno ad avallare la proposta di Obama, paventandone una più liberal da parte dell’ex first lady.

Quasi a bilanciare lo stallo sull'immigrazione, i giudici supremi hanno detto sì alle quote razziali nelle Università statali, respingendo il ricorso contro una legge del Texas che include la razza fra i criteri d'ammissione all'Ateneo statale, la University of Texas. Si tratta di norme per garantire alle minoranze - dagli afroamericani agli ispanici agli asiatici, che, però, normalmente non ne hanno bisogno, essendo sempre i primi della classe - un equo accesso agli studi universitari.

Usa 2016: Brexit, Trump va in Scozia per una vittoria che è pure sua

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 24/06/2016

Nel giorno in cui la Gran Bretagna si sveglia fuori dall’Ue, Donald Trump, che s’era pronunciato per la Brexit, vola in Scozia e va ad inaugurare il campo di golf d’un hotel di lusso di sua proprietà. E il Washington Post commenta: ''Potrebbe essere una semplice coincidenza. Ma le forze che sostengono la Brexit sono sorprendentemente simili a quelle che scuotono la politica americana''.

Se la Brexit è in qualche misura una vittoria per Trump, è certamente una sconfitta per il presidente Barack Obama, che s’era politicamente speso per evitarla e s’era molto esposto in visita a Londra.

Per Politico, gli elettori britannici non hanno solo provocato uno shock al mondo e ai mercati, ma hanno pure ignorato Obama, caricato Hillary Clinton di un potenziale fardello economico e iniettato energia nelle correnti populiste su entrambe le sponde dell'Atlantico.

Il Washington Post nota che il crescente risentimento popolare per le ricadute della globalizzazione e gli effetti della crisi finanziaria hanno spaccato l'elettorato britannico e americano. ''A ciò s’aggiungono i nodi dell'identità nazionale e culturale in un momento di crescente diversità demografica, messa in evidenza dal dibattito sull'immigrazione. Sia il partito del Leave sia Trump hanno nell'immigrazione la loro più potente arma politica''.

Nella prima analisi sull'impatto del voto britannico negli Usa, Politico ipotizza che i rilevamenti che vedono in testa la democratica Hillary Clinton sottovalutino la misura in cui l'elettorato delle democrazie occidentali sia stufo dei politici di professione e preoccupato dal terrorismo islamico e dall'immigrazione.

Per la campagna della Clinton saranno cruciali le ripercussioni sull'economia della decisione presa dal Regno Unito. Se le previsioni negative in questo senso risulteranno accurate – avverte Politico - bisogna tenersi pronti ad un rallentamento economico innescato dalla Brexit, che può interferire con la corsa alla Casa Bianca.

Alle prese con rallentamenti nei sondaggi, e anche nella raccolta fondi, Trump arriva però in Scozia per occuparsi di golf e dei suoi affari privati: inaugura il suo 'Trump Turnberry', esclusivo resort con annesso golf club nella località di Ayrshire, comprato per 51 milioni di dollari nel 2014 e ora completamente ristrutturato con altri 300 milioni.

Il magnate di New York, che possiede anche un campo da golf ad Aberdeen, non ha in programma, in Scozia, incontri politici. (fonti vv - gp)

giovedì 23 giugno 2016

Convention: saranno 'calde'; pro-Sanders divisi; la conta dei delegati

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 23/06/2016

Si annunciano calde le convention di fine luglio negli Stati Uniti: manifestazioni sono già annunciate e organizzate sia a Cleveland che a Filadelfia. Una marcia coinciderà con l’apertura della Convention in Ohio, il 18 luglio, con migliaia di partecipanti. Molti s’apprestano a sfidare le limitazioni imposte dalle autorità locali, in una protesta anti-Trump, cui aderiscono diversi gruppi.

In Pennsylvania, ci si attende una massiccia mobilitazione dei sostenitori di Bernie Sanders, molti dei quali non intendono appoggiare Hillary Clinton e, anzi, ne denunciano quella che considerano una "nomination fraudolenta". La protesta sarà stile 'Occupy Wall Street': sul web, circolano istruzioni ai partecipanti perché si muniscano di bandane e fazzoletti anti-lacrimogeni.

L’indicazione del NYT trova conferma in un sondaggio della Bloomberg, secondo cui quasi la metà dei supporter di Sanders non appoggerà la Clinton l’8 Novembre: il 55% degli intervistati la voterà, mentre il 22% sceglierà Donald Trump e il 18% il libertario Gary Johnson. Il sondaggio ha indotto Trump a rilanciare il suo appello ai sostenitori di Sanders: "Unitevi al nostro movimento”.

Delegati: la conta finale – Conclusa la corsa delle primarie, il quadro dei delegati alle convention è praticamente definitivo: lo riepiloghiamo, usando come fonte il sito http://www.uspresidentialelectionnews.com.

Democratici: delegati alla convention 4.765, delegati già assegnati 4.681, delegati da assegnare 84, maggioranza necessaria 2.383.

Hillary Clinton ha 2.219 delegati popolari e 581 super-delegati ed è a 2.800; Bernie Sanders ha 1.832 delegati popolari, ma ha solo 49 super-delegati ed è a 1.881.

Hillary ha vinto in 28 Stati: in ordine alfabetico Alabama, Arizona, Arkansas, California, Connecticut, Delaware, Florida, Georgia, Illinois, Iowa, Louisiana, Kentucky, Maryland, Massachusetts, Mississippi, Missouri, Nevada, New Jersey, New Mexico, New York, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, South Carolina, South Dakota, Tennessee, Texas, Virginia, oltre che a Washington D.C. e a Portorico, alle Isole Vergini, a Samoa e alle Marianne.

Sanders ha vinto in 22 Stati: Alaska, Colorado, Hawaii, Idaho, Indiana, Kansas, Maine, Michigan, Minnesota, Montana, Nebraska, New Hampshire, North Dakota, Oklahoma, Oregon, Rhode Island, Utah, Vermont, Washington, West Virginia, Wisconsin, Wyoming.

Repubblicani: delegati alla convention 2.472, già assegnati 2.441, da assegnare 31, maggioranza necessaria 1.237.

Donald Trump ne ha 1.542. Fra i candidati ritiratisi, Ted Cruz ne conserva 560, Marco Rubio 167, John Kasich 159, Ben Carson 9, Jeb Bush 4.

Trump ha vinto in 36 Stati: Alabama, Arizona, Arkansas, California, Connecticut, Delaware, Florida, Georgia, Hawaii, Illinois, Indiana, Kentucky, Louisiana, Maryland, Massachusetts, Michigan, Mississippi, Missouri, Montana, Nebraska, Nevada, New Hampshire, New Jersey, New Mexico, New York, North Carolina, Oregon, Pennsylvania, Rhode Island, South Carolina, South Dakota, Tennessee, Virginia, Vermont, Washington, West Virginia, oltre che alle Marianne.

Cruz ha vinto in 9 Stati: Alaska, Idaho, Iowa, Kansas, Maine, Oklahoma, Texas, Utah, Wyoming, oltre che a Guam, e gli sono stati assegnati i delegati del Colorado. Rubio ha vinto in Minnesota e nel Distretto di Columbia e a Portorico. Kasich ha vinto in Ohio. (gp)

mercoledì 22 giugno 2016

Usa 2016: Hillary vs Donald, scintille sull'economia; i conti in tasca

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 22/06/2016

Alla vigilia del referendum sulla Brexit, che vedrà Donald Trump in Scozia per l’inaugurazione d’uno dei suoi hotel con campo da golf annesso, Hillary Clinton attacca il rivale sul fronte dell’economia: "E’ un pericolo per l'economia americana, ci spingerà in recessione. Le sue idee, se attuate, sarebbero un disastro", dice a Columbus in Ohio. E aggiunge, citando l’opinione di esperti: “Ed è un pericolo per l'economia mondiale, come l'ipotesi della Brexit e della disintegrazione dell’Ue”.

Hillary vs Donald, botta e risposta sull’economia - L’ex first lady definisce poi il magnate 'King of Debt', il re del debito: "Non può fare il presidente: con lui, gli Stati Uniti rischierebbero di finire in default, innescando il panico globale".

La replica dello showman non si fa attendere: “Come può Hillary guidare l'economia americana, se non riesce neanche a inviare una email senza mettere il Paese a rischio?'', s’è ironicamente chiesto, facendo riferimento allo scandalo emailgate, cioè all’uso da parte della rivale di un account privato di posta elettronica quando era segretario di Stato.

Poi, Trump s’è ammantato del titolo regale conferitogli dalla candidata democratica: ''Sì, sono il re del debito. Va bene per me, ma so che é sbagliato per il Paese. Ho fatto una fortuna sul debito, ma risolverò il nodo del debito Usa'', salito a oltre 20.000 miliardi di dollari sotto la presidenza Obama.

Trump, campagna a secco, ma una manna per le sue aziende - Intanto, però, il magnate deve risolvere i problemi finanziari della sua campagna, che, all’inizio di giugno, aveva in cassa appena un milione 300 mila dollari. I cosiddetti Super Pac non sono affatto generosi con Trump, le cui cifre non reggono il confronto neanche con la campagna 2012: il candidato repubblicano Mitt Romeny aveva raccolto in quel maggio 76 milioni di dollari.

Fra i democratici, Hillary ha raccolto 42 milioni, anche grazie ai Super Pac. E pure Bernie Sanders se la passa meglio di Trump: a inizio giugno, aveva in cassa nove milioni, quasi due milioni in più rispetto al mese precedente.

Se la campagna del magnate non riesce a decollare in tema di raccolta fondi, la corsa alla presidenza porta invece profitti alle sue aziende: si calcola che, solo a maggio, abbiano incassato oltre 6 milioni di dollari dalla campagna nei modi più disparati.

Quando Trump si sposta, per esempio, usa il suo jet privato – e la campagna lo paga -, quando fa tappa usa i suoi alberghi e il suo quartier generale è in una sua proprietà, la Trump Tower. E, ancora, la campagna acquista acqua e altri prodotti a marchio Trump.

Il tycoon non è il primo miliardario a correre per una carica pubblica: fra chi lo ha preceduto, ci sono l'ex sindaco di New York Michael Bloomberg e Steve Forbes, ex candidato alla nomination nel 1996 e 2000. Entrambi possiedono aziende che portano i loro nomi, ma, a differenza di Trump, entrambi avevano tenuto separate le campagne elettorali dagli affari privati.

La corsa di Sanders una batosta per l’erario - Se la campagna di Trump è una manna per le sue aziende, quella di Sanders è una batosta – calcola il Washington Post - per i contribuenti americani: il senatore del Vermont, pur battuto, non ha ancora gettato la spugna e continua a usufruire, come candidato, della protezione del Secret Service, con un costo di circa 38mila dollari al giorno – cioè, un milione di dollari al mese-.

I costi per la sua protezione saranno ancora più alti durante la convention di Filadelfia, a fine luglio. Sanders "è in una sorta di purgatorio politico – sostiene Mary Anne Marsch, stratega democratica -. Crede di essere ancora in corsa per la presidenza, ma in realtà non lo è". Però, costa all’erario come se lo fosse. (fonti vv – gp)

martedì 21 giugno 2016

Usa 2016: armi; Senato in stallo, repubblicani e democratici si neutralizzano

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 21/06/2016 e poi confluito in un articolo per Il Fatto Quotidiano del 22/06/2016

E’ durata pochi giorni, la speranza, anzi l’illusione, che il Congresso degli Stati Uniti potesse dare una stretta alla diffusione delle armi nell’Unione e legiferare su maggiori controlli e limitazioni su acquisto e detenzione di pistole e fucili, dopo la strage di Orlando, nella notte tra l’11 e il 12 giugno. Le 49 vite spezzate dal killer omofobo e islamista e la maratona oratoria del senatore Chris Murphy non sono bastate a evitare lo stallo ed a superare la contrapposizione in Senato tra repubblicani, che sono maggioranza, e democratici.

Lunedì notte, a Capitol Hill, quando in Italia era già martedì mattina, una raffica di voti in Senato ha di fatto bocciato quattro proposte di legge, due dei repubblicani e due dei democratici, perché nessuna ha toccato la soglia dei 60 voti necessaria per proseguire il suo iter.

I repubblicani, che in Senato sono 55, sostengono che le proposte democratiche erano eccessive e introducevano troppe restrizioni al II emendamento della Costituzione. I democratici, che sono 45, giudicano quelle repubblicane ‘acqua fresca’, sostanzialmente inefficaci. C’è ancora una quinta proposta che dovrebbe andare in discussione e al voto nelle prossime ore, ma rischia di fare la stessa fine.

A cantare vittoria è la National Rifle Association, la lobby delle armi, che non perde l’occasione d’ammonire i politici e in particolare i democratici. Il senso del messaggio è che, senza i suoi voti, si rischia di non essere rieletti l’8 novembre, quando, oltre che per il presidente, si voterà per il rinnovo della Camera e di un terzo del Senato (e di una ventina di governatori).

Secondo la Nra, gli alleati del presidente Obama hanno dimostrato di essere più interessati ai giochi politici che a volere tenere gli americani al sicuro dalla minaccia del terrorismo islamico.

Il presidente Barack Obama e la candidata democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton sono decisamente favorevoli a maggiori controlli. Il candidato repubblicano Donald Trump difende il II emendamento, anche se, a un certo punto, nell’ultima settimana, è parso indulgere all’idea di impedire l’acquisto di armi a chi sta sulla ‘no fly list’ e sulla lista dei presunti terroristi. (fonti vv – gp)

Usa 2016: Trump licenzia manager, arrestato giovane che voleva ucciderlo

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 21/06/2016 e poi confluito in un articolo per Il Fatto Quotidiano del 22/06/2016

Un giovane di nazionalità britannica avrebbe progettato e tentato d’assassinare Donald Trump. L’uomo, un ventenne, è stato arrestato a Las Vegas: sabato scorso, era stato bloccato, mentre provava a rubare la pistola di un poliziotto durante un evento elettorale del candidato repubblicano. E' "il modo più semplice per ucciderlo", avrebbe detto, una volta neutralizzato. Lo riferiscono fonti di stampa Usa: s’indaga sulla portata dell’episodio e l’attendibilità delle affermazioni del giovane.

La campagna di Trump resta sempre vivace e tormentata. Il magnate sta pure cambiando squadra e rinuncia a uno delle figure finora centrali del suo team: Corey Lewandowsky, il manager, era molto vicino allo showman, che lo aveva difeso a spada tratta quand'era stato accusato d’avere malmenato una giornalista, che lo aveva denunciato facendo anche scattare un fermo di polizia. Lewandowsky è poi stato scagionato.

L’episodio di Las Vegas è seguito dall'ufficio del procuratore del Nevada: si scava sulla personalità e sul passato del giovane, Michael Steven Sandford, che aveva avvicinato un poliziotto in servizio al Treasure Island Casino, dove si teneva un evento a sostegno di Trump. Accortosi che l'arma dell’agente era accessibile, ne aveva afferrato il manico con entrambe le mani.

Secondo la Nbc, il ventenne ha detto agli inquirenti che quello “sarebbe stato il modo più semplice di procurarsi una pistola per uccidere Trump" e ha inoltre affermato che "se fosse libero ci avrebbe riprovato". La magistratura gli ha per il momento negato la libertà su cauzione.

Dai verbali, risulta che Sandford ha dichiarato d’essere negli Usa da oltre un anno e d’avere vissuto nel New Jersey, prima di recarsi a giugno nel sud della California e poi in Nevada "per uccidere Trump”, che lì stava facendo campagna.

Il giorno dopo l’arrivo a Las Vegas, il giovane era stato in un poligono di tiro, dove s’era esercitato a sparare. Dalle indagini della polizia, il ventenne risulta essere disoccupato, residente negli Usa illegalmente e senza fissa dimora, vivendo in un'auto. L’avvocato d'ufficio assegnatogli sostiene che Sandford è affetto da autismo e che ha già tentato il suicidio.

La vicenda di Las Vegas turba la campagna di Trump meno del licenziamento di Lewandowsky, che dice di non conoscere i motivi del proprio allontanamento e che continua a proclamarsi leale allo showman. Secondo illazioni di stampa, Trump vuole adattare la squadra a una campagna meno aggressiva e più conciliante con l’elettorato di centro e con l’apparato del partito, anche se l’atteggiamento del magnate resta contraddittorio.

L’uscita di scena di Lewandowsky, per molti personaggio scomodo e spigoloso, sarebbe anche conseguenza di un aumento del ruolo della figlia di Trump Ivanka e soprattutto del genero, ed editore, Jared Kushner, sempre più influente sul magnate. (fonti vv – gp)

lunedì 20 giugno 2016

Usa 2016: Repubblicani, cresce la fronda anti-Trump, che fomenta divisioni

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 20/06/2016

Cresce la fronda contro Donald Trump nel partito repubblicano, mentre il candidato in pectore alimenta le perplessità con prese di posizione discutibili sui fronti interno e internazionale ed esibisce, nei sondaggi, un’inattesa fragilità rispetto alla rivale democratica Hillary Clinton, specie dopo la strage di Orlando.

Sulla carta Trump non corre rischi: ha ottenuto nelle primarie ben più dei 1.237 delegati necessari per aggiudicarsi la nomination repubblicana. Ma la sua tendenza a dividere il partito e a polarizzare gli elettori rafforza le tentazioni di un blitz contro di lui alla convention di Cleveland (18-21 luglio) che deve formalizzare la nomination.

Il capogruppo repubblicano al Senato Mitch McConnell, numero due del partito, fra i primi notabili a prendere atto dell’esito delle primarie, dice che potrebbe ora revocare il sostegno a Trump, dopo gli attacchi razzisti a un giudice d’origine messicana. E la fronda godrebbe il sostegno prudente, se non addirittura d’una sorta di complicità, del presidente della Camera e leader del partito Paul Ryan, che presiederà la convention – una posizione che lui stesso minimizza: "Il mio ruolo, ora che Trump ha la maggioranza dei delegati e ha quindi vinto, è prevalentemente cerimoniale”.

Sostenitore contro voglia di Trump (“Debbo farlo, se no spaccherei il partito”, ha detto alla Nbc), Ryan indica, però, alla Cbs che non ostacolerà una ribellione dei delegati contro Trump: sono loro, spiega, a scrivere le regole della convention e la decisione su chi sarà il candidato “è solo loro". Lui vuole “assicurare che la convention si svolga in modo onesto, chiaro e nel rispetto delle regole": “L'ultima cosa che farò è dire ai delegati che cosa fare", ossia ordinare loro di votare Trump.

In questo contesto, il magnate dà segni di nervosismo e accusa Jeb Bush: ''Sta complottando contro di me''. In un comizio, Trump dice: ''Sarebbe utile se i repubblicani ci aiutassero un po’''; e, invece, dietro alla rivolta dei delegati, ci sono due suoi ex rivali: Bush e Ted Cruz che però non nomina. ''Jeb sta lavorando al movimento. L'altro che ci sta lavorando dovrebbe essere scontato per voi''.

Che Ryan detesti Trump è cosa a Washington assodata, nonostante i riavvicinamenti formali. Però, lo speaker della Camera, possibile candidato alle presidenziali del 2020, non vuole essere il motore d’una spaccatura nel partito, che “si trova di fronte a una situazione molto strana ed unica”. Così, Ryan lascia ai delegati spazio d’iniziativa, ma anche responsabilità di quanto dovesse accadere.

Trump, schedatura dei musulmani e inviti alla Casa Bianca – Trump, dal canto suo, getta benzina sul fuoco delle divisioni negli Usa, dopo la strage di Orlando, continuando a denunciare l’integralismo islamico, mentre gli inquirenti inclinano al crimine dettato dall’odio per i gay, e sostenendo di essere favorevole alla 'schedatura dei musulmani', oltre che a impedirne l’ingresso nell’Unione". Quanto alla vendita delle armi, il magnate oscilla tra il sì a maggiori controlli ed il no a qualsiasi limitazione dei diritti riconosciuti dal II emendamento della Costituzione americana.

Sul fronte internazionale, Trump, in dichiarazioni e interviste, continua a ‘corteggiare’, ricambiato, il presidente russo Vladimir Putin e apre pure le porte della Casa Bianca al leader nordcoreano Kim Jong-un. (AGI – fonti vv – gp)

domenica 19 giugno 2016

Usa 2016: Hillary nonna per la seconda volta, delegati ribelli contro Trump

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 19/06/2016

Hillary Clinton è nonna per la seconda volta: Chelsea, figlia unica sua e dell’ex presidente Bill, ha dato alla luce un bimbo, Aidan. Chelsea e suo marito, il banchiere Marc Mezvinsky, lo hanno annunciato su twitter: “Siamo lieti di celebrare la nascita di nostro figlio Aidan". .Chelsea e Marc avevano già una bambina, Charlotte, due anni.

Chelsea Clinton, dopo una serie di esperienze non memorabili nel mondo delle news tv, è dal 2011 vice presidente della Clinton Foundation, una organizzazione non-profit fondata da Bill e da cui Hillary si dimise il giorno della sua candidatura alla Casa Bianca nell’aprile del 2015. La Fondazione è nel mirino dei repubblicani perché avrebbe ricevuto donazioni da regimi non democratici e da personalità discusse.

La nascita di Aidan rafforza il profilo di nonna, che è uno di quelli con cui Hillary compare nella sua campagna e che, secondo numerosi osservatori, le dà un vantaggio sul rivale Donald Trump, che, nonostante l’età – ha appena compiuto 70 anni – propone di sé profili più energici ed aggressivi. Un sondaggio Reuters/Ipsos misura in 10,7 punti il vantaggio della Clinton du Trump, in calo rispetto a una settimana fa (14,3%). La strage di Orlando avrebbe favorito il candidato repubblicano, perché avrebbe fatto crescere la percentuale d’americani favorevoli a bloccare l’immigrazione di musulmani – sarebbero ora il 45% - (ma ha fatto pure crescere al 60% la percentuale di quelli pronti a regole per limitare o controllare la vendita delle armi).

Per lo showman, le grane, in vista della convention repubblicana, non mancano di sicuro: centinaia di delegati a lui ostili, almeno 300, si starebbero organizzando, nel tentativo quasi disperato di bloccargli la strada a Cleveland. Le chances di successo della rivolta sono minime: i leader del partito e i maggiori finanziatori, pur freddi nei confronti di Trump, non appoggiano l'iniziativa, perché rischia di spaccare ancora di più il partito.

“Ci sono sacche di resistenza in tutta l’Unione'', testimonia uno dei ‘ribelli’. Ma Trump fa spallucce, nel suo stile: ''Qualsiasi tentativo di rimuovermi alla convention sarebbe illegale''.  Negli ultimi giorni, fa sapere, ha raccolto 12/13 milioni a favore del partito repubblicano. (fonti vv - gp)

Terrorismo: Belgio, il blitz sventa - forse - la tragedia durante il match

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/06/2016

Per il Belgio, è finita con un trionfo – sportivo-. Ma poteva essere una tragedia, l’ennesima in Europa del terrorismo integralista: un blitz della polizia nella notte tra venerdì e sabato sventa un attentato che avrebbe forse dovuto funestare il match europeo dei ‘diavoli rossi’ contro l’Irlanda. Il bilancio è di una dozzina di arresti, decine di perquisizioni, almeno 40, interrogatori e sequestri, a Bruxelles e altrove nel Paese: gli agenti non avrebbero trovato né armi né esplosivi, il che getta un’ombra di dubbio su tutta l’operazione. Come la decisione dei giudici di scarcerare a fine giornata nove dei 12 arrestati.

Il sussulto d’allarme in Belgio innalza ulteriormente la tensione in Francia dove l’attenzione anti-terrorismo è già parossistica. A Bordeaux, dove si disputa Belgio – Irlanda, un pacco fumogeno mobilita le forze dell’ordine: falso allarme, solo fumogeni, ruba da hooligans, non da kamikaze. La sera, a Bruxelles, c’è chi ha voglia di scherzare: due incubi sventati in 24 ore, l’attentato e l’eliminazione – i ‘diavoli rossi’ hanno vinto 3 a 0-.

La polizia belga è convinta di avere sgominato una cellula jihadista e di avere evitato una o più azioni letali, che potevano prendere di mira gli assembramenti di tifosi in occasione della partita. La procura di Bruxelles, che ha coordinato tutta l’operazione, si limita a dire che le perquisizioni sono state condotte in 16 comuni dell’area di Bruxelles (Molenbeek, Schaerbeek, Forest e altri nomi già entrati nella geografia dell’integralismo) e delle Fiandre e della Vallonia confinanti con la capitale, che le persone identificate sono state decine e che sono stati pure controllati 152 garage. Tutto è avvenuto “senza incidenti” e “l’inchiesta prosegue”: a scatenare il blitz, sarebbe stata una telefonata intercettata, dove si parlava d’attacchi “imminenti”.

Fonti di stampa belghe parlano di “attentati pianificati in concomitanza col match” europeo. Per le autorità, la “minaccia” era “imminente” e richiedeva “un intervento immediato”: l’operazione restituisce credibilità agli inquirenti belgi, ridicolizzati, a novembre e a marzo, dagli errori compiuti dopo le stragi di Parigi e al momento degli attentati a Bruxelles.

C’è l’ipotesi che il blitz sia stato reso possibile dalle soffiate di qualcuno dei tristemente famosi ‘jihadisti di Molenbeek’ finiti in carcere e lì divenuti ‘collaboratori di giustizia’. Ma non si possono neppure escludere, da parte di personaggi ambigui come Salah Abdeslam, depistaggi o vendette.

Certo, stupisce che il ‘piccolo’ Belgio, 11,2 milioni di abitanti, il 6% musulmani, ma anche la più alta densità abitativa al Mondo, fatte salve le città Stato, e la maggiore percentuale rispetto alla popolazione musulmana di foreign fighters, si confermi una sorta di pozzo senza fondo di cellule terroristiche.

Le autorità locali, che troppe volte si sono fatte prendere con la guardia abbassata, non vogliono tralasciare nulla quanto a prevenzione: pensano che la minaccia terroristica pesi su numerose personalità, tra cui il premier Charles Michel, e lo hanno messo sotto scorta, insieme ai ministri degli Esteri Didier Reynders, dell'Interno Jan Jambon e della Giustizia, Koen Geens. Loro e le loro famiglie, in tutto una trentina di persone, erano in luogo sicuro durante le irruzioni notturne nei presunti covi.

Secondo informazioni della Rtbf, la tv pubblica francofona belga, alcuni individui arrestati circolavano ieri in auto nel centro di Bruxelles, vicino a place Rogier, dov’è stato installato un maxi schermo per seguire in diretta le partite degli Europei. La Rtbf precisa che non vi sono certezze sull'intenzione dei sospetti di colpire la folla lì riunita per tifare, ma definisce l’ipotesi “plausibile”. La polizia, indirettamente, conferma: l’obiettivo non era lo stadio del match, ma una o più zone di raduno dei tifosi.

Tra gli arrestati poi rilasciati, v’è almeno uno dei complici dei terroristi – non tutti erano kamikaze - che colpirono il 22 marzo l'aeroporto di Zaventem e poi la metro di Bruxelles: è un uomo di 31 anni, Youssef E.A., di nazionalità belga, che lavorava nello scalo ed aveva un badge che gli consentiva l’accesso diretto alla pista e agli aerei. Youssef era anche amico di infanzia di Khalid El Bakraoui, uno dei due che si fecero saltare in aria; e conosceva Ali El Haddad Asufi, autore dell'attacco alla stazione della metro di Maelbeek.

Youssef, ora accusato di strage terroristica, come autore, coautore e complice, avrebbe pure soggiornato nell’appartamento di Etterbeek dove furono fabbricate le bombe fatte esplodere a Maelbeek. Tutti dati che confermano l’impressione che l’operazione belga abbia sgominato un’appendice, o quello che rimaneva, della cellula jihadista di Abrini e dei fratelli El Brakraoui.