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mercoledì 31 agosto 2016

Repubblicani: i rivali interni di Trump vanno a gonfie vele nelle primarie

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 31/08/2016

Vanno a gonfie vele nelle primarie repubblicane per la Camera e il Senato alcuni rivali interni di Donald Trump: l’8 Novembre, l’Election Day, si rinnovano tutti i seggi della Camera – 435 – e un terzo dei cento senatori. Lo speaker della Camera, e il maggiore esponente del partito, Paul Ryan,  che ha più frizioni che assonanze con Trump, ha vinto le primarie in Wisconsin con l’84% dei voti.

Ringraziando i propri elettori, Ryan ha punzecchiato, senza citarlo, il candidato repubblicano alla Casa Bianca: “In tempi incerti, è molto facile ricorrere alle divisioni e fare leva sulle paure della gente… Si vende bene, ma non fa davvero presa e, soprattutto, non funziona”. Trump s’era inizialmente rifiutato di sostenere la rielezione di Ryan e aveva poi fatto marcia indietro.

In Florida, Marco Rubio ha vinto le primarie repubblicane per il seggio al Senato, tornando così alla ribalta della scena politica. L’ex aspirante alla nomination alla Casa Bianca ha stracciato il rivale Carlos Beruff, un immobiliarista che aveva l’appoggio di Trump. Per Rubio, è stata una sorta di rivincita nei confronti del magnate che lo aveva a più riprese preso in giro e umiliato durante le primarie presidenziali.

Dopo avere perso contro Trump nella sua Florida, Rubio annunciò il ritiro dalla politica. Ma l'establishment del partito l’ha convinto a ripensarci: il seggio della Florida potrebbe essere decisivo a novembre per la maggioranza nel Senato, che i repubblicani rischiano di perdere. Rubio, che parte favorito, dovrà vedersela con il democratico Patrick Murphy, che s’è imposto nelle primarie su Alan Grayson.

Non ha problemi di primarie un altro antagonista interno di Trump, il senatore dell’Arizona John McCain, cui pure il magnate negò in un primo momento il proprio avallo, ma che si sbarazza dell'antagonista ultra-conservatore Kelli Ward. Il seggio di McCain, dopo quattro mandati consecutivi, appare però in bilico a causa delle posizioni assunte dal candidato repubblicano sull’immigrazione e contro gli ispanici, che sono una grossa fetta dell’elettorato in quello Stato. Il seggio in Texas del senatore Ted Cruz, uno degli ultimi rivali a cedere il passo a Trump per la nomination, non viene rinnovato quest’anno.

Un altro esponente della vecchia guardia repubblicana ha, nei giorni scorsi, bocciato Trump: Paul Wolfowitz, uno dei leader dell’area neo-con, ha lasciato intendere che potrebbe votare, “turandosi il naso”, Hillary Clinton. Intervistato da Der Spiegel, l'ex consigliere e collaboratore di George W. Bush ed ex presidente della Banca Mondiale, ha definito Trump "una minaccia alla sicurezza nazionale": "potrei votare per Hillary malgrado abbia grosse riserve su di lei". (fonti vv – gp)

Usa 2016: Trump a sorpresa in Messico per migranti, riduce distacco

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 31/08/2016

Giornata chiave nella campagna elettorale di Donald Trump sul tema dell’immigrazione: il magnate farà un viaggio a sorpresa in Messico per incontrare il presidente Enrique Pena Nieto, poche ore prima di pronunciare in Arizona un discorso molto atteso, in cui potrebbe ammorbidire le posizioni sull'espulsione dei migranti senza documenti.

Intanto, Trump risale un po’ nei sondaggi, pur rimanendo sempre dietro la candidata democratica Hillary Clinton. Segno che forse il momento più difficile della sua campagna è stato superato, mentre i ritorni di fiamma delle polemiche che coinvolgono l’ex first lady, come emailgate, strage di Bengasi, Fondazione di famiglia, hanno lasciato qualche traccia.

Il candidato repubblicano ha annunciato su Twitter di essere “molta impaziente'' d’incontrare il capo dello Stato messicano, che ha invitato a un incontro in Messico entrambi i candidati.

Lo staff di Pena Nieto ha comunicato sempre con un tweet che il presidente e Trump si vedranno “privatamente”. Il candidato repubblicano ha fatto della deportazione degli immigrati irregolari, calcolati in 11 milioni, e della proposta di alzare il muro lungo il confine con il Messico – e dove non c’è di costruirlo - un punto nodale della sua campagna, che aveva iniziato con accuse e insulti generalizzati ai latino-americani, specie ai messicani.

Pena Nieto è stato fortemente critico delle posizioni di Trump, specie dell'insistenza che il Messico contribuisca finanziariamente all'innalzamento del muro lungo il confine.

I sondaggi segnalano che Trump ha un po’ ridotto il distacco dalla Clinton, andato ampliandosi dopo le convention tra fine luglio e metà agosto. Per la Monmouth University, Hillary ha il 46% delle intenzioni di voto, Trump il 36% - un mese fa erano rispettivamente al 50 e al 37% -.

Per Nbc News - SurveyMonkey, Hillary è al 48%, Trump al 42% - una settimana fa, il margine qui era di 8 punti -. Se la scelta offerta agli elettori si allarga ad altri candidati, il vantaggio di Hillary cala: 41 a 37%, con l’11% al libertario Gary Johnson e il 5% alla verde Jill Stein. (fonti vv – gp)

martedì 30 agosto 2016

Usa 2016: Hillary, noie da foto in boxer marito recidivo sua collaboratrice

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 30/08/2016

Una fedelissima collaboratrice di Hillary Clinton, Huma Abedin, musulmana, braccio destro dell’ex first lady, si separa dal marito Anthony Weiner, un uomo politico già screditato da vari scandali: l’annuncio è stato fatto dopo le ultime rivelazioni del New York Post secondo cui l'’ex deputato dello Stato di New York ha scambiato con una donna sms con foto osé negli ultimi mesi.

La vicenda, cui la stampa americana dà rilievo, costituisce un imbarazzo per la campagna Clinton. Donald Trump v’è subito saltato sopra, malgrado abbia finanziato in passato le attività di Weiner, cercando di farne una questione di sicurezza nazionale.

In un comunicato, la Abedin scrive: "Dopo dolorose e lunghe considerazioni e dopo aver lavorato sul mio matrimonio, ho deciso di separarmi da mio marito. Chiedo rispetto per la nostra privacy". Ma la vicenda ha subito assunto sulla stampa una dimensione pubblica ed elettorale: Il Post ha pure pubblicato foto di Weiner in boxer, anche con accanto il figlio di cinque anni che dorme.

L'invio di foto osé aveva già stroncato la carriera politica del democratico Anthony Weiner, che aveva dovuto dimettersi da deputato nel 2011, dopo essere stato accusato di avere mandato proprie foto sexy, in cui metteva in mostra allo specchio il corpo muscoloso, ad alcune sue giovani fan conosciute sui social network. Werner prima negò, poi si scusò e si dimise: la moglie all'epoca decise di rimanere al suo fianco, comparendo con il marito anche in conferenza stampa.

Weiner ci ricascò nel 2013: era uno dei favoriti alla successione di Michael Bloomberg, ma, dopo essersi giocato il seggio al Congresso, si giocò la poltrona di sindaco di New York.

Donald Trump cerca di trarre vantaggio dalla vicenda: "Huma sta prendendo una decisione saggia – scrive in un comunicato -: conosco bene Anthony Weiner e lei starà molto meglio senza di lui. La sola mia preoccupazione è il Paese. Hillary è stata noncurante e negligente, permettendo a Weiner d’essere vicino ad informazioni secretate. Chi lo sa cosa ha saputo e a chi lo ha riferito? E' un altro esempio della cattiva capacità di giudizio di Hillary. Il nostro Paese e la sua sicurezza possono essere stati compromessi". Tra le foto osé d’un ex deputato tronfio e la sicurezza nazionale il passo è lungo, ma il magnate lo fa senza remore.

Il candidato repubblicano, negli ultimi mesi, ha attaccato a più riprese il marito della collaboratrice della Clinton, Ma, in passato, ne aveva a più riprese finanziato le campagna elettorali, avendo, come imprenditore, la prassi di foraggiare sia democratici che repubblicani. La Nbc riferisce che Trump versò a Weiner 2.300 dollari, la somma massima consentita, per le corse al Congresso nel 2007 e nel 2010; e che gli aveva pure fatto una piccola donazione di 150 dollari nel 1997 quando si candidò al consiglio comunale di New York.

Intanto, il nuovo capo della campagna repubblicana è ancora toccato da accuse di molestie sessuali: Stephen Bannon, già nella bufera per vicende di violenza domestica e di atteggiamenti antisemiti, fu coinvolto negli Anni Novanta in una disputa di lavoro in cui, nei confronti suoi e di un collega, furono avanzate accuse – respinte - di molestie sessuali, sotto forma di commenti a sfondo sessuale. Il sito Buzzfeed riesuma la storia: Bannon allora era consulente finanziario d’un miliardario texano. (fonti vv – gp)

lunedì 29 agosto 2016

Usa 2016: Hillary/Donald, guerra a colpi di (e sui) certificati medici

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 29/08/2016

Chi di (balle sulla) salute ferisce, di (balle sulla) salute perisce. Almeno a livello di credibilità. Dopo avere seminato dubbi - senza prove a sostegno - sulla forma fisica di Hillary Clinton ed avere invece magnificato con un certificato – non il primo – le condizioni eccellenti di Donald Trump, la campagna repubblicana subisce la reazione di quella democratica che, con l’aiuto della stampa, demolisce l’attendibilità del certificato di ''straordinaria salute'' firmato dal medico del magnate, dottor Harold Bornstein.

Lo staff di Hillary sottolinea una serie di stranezze, a partire dal fatto che sul documento appare anche il padre del dottore di fiducia di Trump, Jacob Bornstein (medico di famiglia precedente), morto nel 2010, mentre il certificato in questione risalirebbe all'anno scorso; inoltre, il website che viene citato non esiste, mentre compare l’indirizzo email del medico che di solito non è riportato sui documenti sanitari; ma, soprattutto, le conclusioni sullo stato di salute non sono suffragate dall'indicazione dei test effettuati e alcuni dati sono riportati in modo approssimativo o con una terminologia non medica.

Infine, nonostante il dottor Harold Bornstein sia stato affiliato al Lenox Hill Hospital, non c'è alcun suo riscontro nella pagina della divisione di gastroenterologia (citata erroneamente come sezione di gastroenterologia), mentre la sigla Facg (Fellow of the American College of Gastroenterology) contrasta col fatto che Bornstein non è più tale dal 1995.

Il dottor Bornstein, in un certificato diffuso lo scorso 4 dicembre, garantiva le condizioni di salute impeccabili del magnate ormai settantenne, e scriveva che, se eletto, Trump sarebbe il presidente in assoluto con lo stato di salute migliore mai entrato alla Casa Bianca. Proprio l'età avanzata - Hillary ha 9 anni - rende le condizioni di salute dei candidati un elemento critico di questa elezione.

Adesso, sempre Bornstein conferma la diagnosi, ma ammette anche alla Nbc di avere scritto il documento in pochi minuti, mentre una limousine con membri dello staff di Trump aspettava fuori dallo studio.

Bornstein è il medico di Trump dal 1980. Nel documento di nove mesi or sono, indicava che sia la pressione sanguigna sia i risultati degli esami di laboratorio risultavano "sorprendentemente eccellenti" e diceva di Trump che "la sua forza fisica e la sua resistenza sono straordinarie".

Oggi, il gastroenterologo, che opera al Lenox Hill Hospital dell'Upper East Side di Manhattan, conferma in tutto e per tutto, sottolineando che la salute di Trump è eccellente, specialmente quella mentale. "Lui crede di essere il migliore, il che va perfettamente bene. E credo che sarebbe in forma per fare il presidente, in quanto la sua mente è attiva 24 ore al giorno". (fonti vv – gp)

Usa 2016: Hillary/Donald, polemiche su razzismo, discriminazioni, Lgbt

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 29/08/2016

Nell'anniversario della marcia di un milione di neri su Washington, quando nel 1963 Martin Luther King pronunciò il discorso del sogno, il tema del razzismo e delle discriminazioni resta centrale nella campagna 2016 per la Casa Bianca. La candidata democratica Hillary Clinton afferma che "c'è qualcosa di profondamente sbagliato" negli Stati Uniti, se i cittadini devono ancora fare i conti con un "razzismo sistematico": "Tanti americani sentono che il loro Paese li tiene meno in considerazione solo per il colore della loro pelle".

E mentre il Washington Post riconosce alla Clinton pure il ruolo di paladina degli Lgbt, ci sono critiche e accuse per razzismo e discriminazioni al candidato repubblicano Donald Trump, che va però avanti ad affermare che “gli afroamericani voteranno per me”. Il New York Times, però, ricostruisce una vicenda di discriminazioni ai danni dei neri dell’azienda di famiglia del magnate dell’immobiliare.

Trump ha cercato di utilizzare a proprio vantaggio l’ennesima uccisione nelle strade di Chicago, la città di Obama, d’una donna nera di 32 anni Nykea Aldridge, madre di quattro bimbi, cugina del campione di basket Dwayne Wade, fatalmente coinvolta in una sparatoria fra due uomini, venerdì, mentre stava spingendo una carrozzina. Le sortite dello showman su twitter e nei comizi del fine settimana sono state percepite come opportuniste e molto criticate.

Invece, il New York Times ha ricostruito gli anni di apprendistato del magnate, quando, ancora giovanissimo, andava con il padre Fred sui cantieri per imparare il mestiere, rievocando le accuse di discriminazione verso potenziali affittuari neri che portarono l’impresa edile in prima pagina nel 1968: allora, i Trump non erano capofila nell'immobiliare del lusso, ma lavoravano nell'edilizia per la classe media.

Pur non essendoci prove di un coinvolgimento di Donald in prima persona, il NYT attribuisce alla vicenda rilevanza politica adesso che il candidato fa appello al voto dei neri. Il magnate riconosce spesso il forte legame personale e lavorativo con il padre Fred.

Invece, il Washington Post ricostruisce il percorso di Hillary verso gli Lgbt, una comunità che le riconosce l’impegno nella difesa dei suoi diritti. Il giornale nota, tuttavia, che l’allora candidata alla nomination democratica era cauta, nel 2008, sui matrimoni omosessuali, salvo poi sostenerli quando valutò che non vi fosse più rischio politico. Il giornale riconduce tutto ciò alla cautela, elemento 'emblematico' del percorso politico della Clinton, che ha contribuito, con il marito Bill, a una stagione di politiche centriste pensate per un elettorato culturalmente più conservatore rispetto alla generazione che aveva spinto a sinistra il partito democratico. (fonti vv – gp)

domenica 28 agosto 2016

Is: così nasce un Califfo, nelle carceri della vergogna in Iraq

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/08/2016

Magari, adesso ne sappiamo un po’ di più del suo passato, stile ‘dimmi in che prigione sei stato e ti dirò chi sei’: se hai ‘frequentato’ le università dello jihadismo per antonomasia, come il carcere d’Abu Ghraib e Camp Bucca, e ne sei uscito con una patente di buona condotta, sei quasi destinato a essere Califfo, sia pure autoproclamato.

Ma di sicuro continuiamo a saperne ben poco del suo presente: che cosa faccia ora, dove sia, in che condizioni viva (se vive). Non abbiamo più notizie certe da oltre due anni di Ibrahim Awad Ibrahim al-Badry, alias Abu Bakr al-Baghdadi, Califfo del sedicente Stato islamico dal 29 giugno 2014: l’ultima sua immagine risale al 5 luglio 2014, una settimana dopo l'auto-proclamazione, quando tenne una concione nella Grande Moschea al-Nuri di Mosul, città da poco presa dalle sue milizie.

Da allora, l’integralista terrorista che era stato combattente contro l’occupazione americana e aveva poi guidato al Qaida in Iraq prima di affrancarsene e creare la sua propria rete è stato dato più volte per ferito o addirittura ucciso, sotto i bombardamenti o in scontri armati, ma l’intelligence Usa non ha mai avallato tali informazioni. C’è chi l’ha segnalato a Sirte, quand’era una roccaforte jihadista in Libia, a Raqqa in Siria, a Mosul o altrove in Iraq. Ma nessuna notizia è sicura.

Che al Baghdadi avesse perfezionato l’odio verso gli Stati Uniti nelle prigioni americane in Iraq era già noto. Il sito The Intercept di Gleen Greenwald, ex reporter del Guardian e partner della talpa dell’Nsagate Edward Snowden, nel diffondere le intercettazioni di massa dei servizi americani, ha ora rivelato qualche dettaglio supplementare, citando fonti dell’Esercito Usa.

Risulta che il futuro Califfo fu detenuto ad Abu Ghraib, una trentina di chilometri a sud di Baghdad, dal 4 febbraio 2004, quando fu catturato a Falluja, uno dei focolai dell’insurrezione, al 13 ottobre. Poi venne trasferito a Camp Bucca, nel sud dell’Iraq, vicino a Bassora: lì restò appena due mesi, dal 14 ottobre al 9 dicembre, quando venne rilasciato, dopo che una indagine di un Comitato congiunto ne raccomandò la “liberazione incondizionata", giudicandolo una figura di basso profilo.

Una circostanza talmente improbabile da alimentare nel tempo teorie del complotto d’ogni genere. Fino a qualche tempo fa, si credeva che al-Baghdadi fosse stato detenuto fino al 2009. Poi si seppe che la sua prigionia era durata appena 10 mesi: il percorso carcerario del futuro Califfo non è certo al 100 %, ma la ricostruzione di The Intercept appare compatibile con i documenti disponibili.

Il detenuto Ibrahim Awad Ibrahim al-Badry è identificato dalla matricola US91Z-157811CI: le cifre 157 stanno per il carcere di Abu Ghraib, ha riconisciuto un portavoce dell’Esercito, Troy Rolan; ma i documenti di al-Badry non citano mai esplicitamente la ‘prigione della vergogna’.

Abu Ghraib è l’inferno dove secondini Usa umiliavano e torturavano prigionieri, aizzando loro contro i cani, tenendoli al guinzaglio, accatastandoli nudi, sottoponendoli a scosse elettriche: le immagini di quelle abiezioni cominciarono a fare comprendere agli americani la coscienza quanto l’invasione dell’Iraq fosse sbagliata e foriera di altri terrori.

E’ impossibile dire quanto l'esperienza ad Abu Ghraib abbia influito su al Baghdadi. Ma è certo che quel carcere, oggi dismesso, ha contribuito a radicalizzare molti iracheni.

Usa 2016: Trump non s'allena per dibattiti in tv, gioca a golf e scherza

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 28/08/2016

Donald Trump preferisce giocare a golf e mangiare hamburger invece di prepararsi ai dibattiti in tv con Hillary Clinton e si avvia a “un disastro”: lo scrive il Washington Post e lo rilancia Politico, mentre molti osservatori pensano che le possibilità di recupero del magnate rispetto all’ex first lady avanti nei sondaggi siano proprio legate ai loro tre confronti in diretta televisiva: testa a testa Donald e Hillary, se nessun altro candidato, come il libertario Gary Johnson, o la verde Jill Stein, sarà ammesso a parteciparvi.

I dibattiti presidenziali sono fissati il 26 settembre, il 9 ottobre e il 19 ottobre, mentre quello fra vice si farà il 4 ottobre. Il compito di scegliere i partecipanti e fissare le date spetta a una commissione ‘ad hoc’. Newsweek propone di aprire i confronti almeno a un terzo candidato: in alcuni sondaggi non limitati all’alternativa Clinton/Trump, il libertario Johnson arriva al 10%.

Il magnate e showman avrebbe nei dibattiti l’arma migliore: lui ci sguazza, sul piccolo schermo, mentre l’ex first lady è più fredda e meno comunicativa. Ma il WP riferisce che, invece di prendere sul serio i confronti, dove l’ex segretario di Stato può comunque fare valere la maggiore esperienza di vita pubblica e di affari internazionali, Trump preferisce passare il tempo teoricamente dedicato ad allenarsi giocando a golf sul suo campo nel New Jersey, mangiando hotdog e cheeseburgers, bevendo Coca-Cola e chiacchierando con la sua squadra di trainer informali, scambiandosi l’un l’altro battute taglienti e facezie più o meno pesanti. Il team comprende l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, la conduttrice di un talk show radiofonico Laura Ingraham e Roger Ailes, ex presidente della Fox News, che, allontanato dal suo posto dopo accuse di molestie sessuali, ha subito trovato un posto nella squadra del candidato repubblicano.

Gli assistenti di Trump hanno preparato caterve di appunti, ma il candidato non dedica molto tempo a leggerli, né ha per ora affrontato dibattiti di prova, sostenendo orgogliosamente che uno showman del suo calibro e talento non ne ha bisogno. Se mai il magnate dovesse a un cero punto assoggettarsi ai consueti provini, la parte di Hillary dovrebbe toccare alla Ingraham, un’esperta delle vicende che coinvolgono l’ex first lady.

Secondo il WP, il piano di Trump è molto semplice: presentarsi sul podio dei dibattiti e surclassare la Clinton con le sue sparate e le sue battute, la cui forza non sono quasi mai veridicità e fondatezza. Ma RedState, un blog conservatore, osserva che la preparazione di Trump ai dibattiti è esattamente quella che ci si poteva aspettare: lui trasforma i dibattiti in un match di wrestling, la spettacolare, e finta, lotta libera americana; e, di solito, ne esce vincitore.

Un'altra grana per il magnate arriva dalla scelta del nuovo responsabile della sua campagna, l'ex capo del sito di destra Breitbart Stephen Bannon: risulta, da documenti del 2007 relativi alla causa di divorzio, che l’ex moglie affermò che Bannon era contrario a mandare le loro figlie in una esclusiva scuola di Los Angeles in quanto non voleva che andassero a scuola con ebrei; inoltre, nel 1996, la stessa moglie lo aveva accusato di violenza domestica, anche se la denuncia era poi caduta non essendosi la donna presentata in tribunale al momento dell'udienza.

Intanto, Hillary Clinton, che continua a viaggiare in testa nei sondaggi – l’ultimo, Reuters/Ipsos -, ha avuto il primo briefing sulla sicurezza nazionale da candidata presidente, recandosi nella sede dell’Fbi di White Plains a New York. Per lei, che da segretario di Stato era solita ricevere regolarmente aggiornamenti del genere, non è stata una novità, mentre Trump ha ricevuto il suo ‘battesimo d’intelligence’ la settimana scorsa. (fonti vv – gp)

sabato 27 agosto 2016

Siria: Lavrov-Kerry, chiacchiere, tanto la guerra non finisce

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/08/2016

Se le signore Maria, la russa, e Teresa, l’americana, fossero mai gelose dei rispettivi illustri mariti, il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov e il segretario di Stato Usa John Kerry, tutti questi incontri potrebbero finire con l’insospettirle: Lavrov e Kerry si sentono praticamente tutti i giorni e si sono visti decine di volte, a Washington, a Mosca, a Ginevra, a Vienna, a margine di Vertici, funerali e celebrazioni. E non ne è mai venuto fuori nulla di decisivo, per il conflitto siriano. Anzi, in un’analisi ben articolata di Max Fisher, il New York Times esplicita il paradosso siriano: perché la guerra va di male in peggio e non c’è verso che le cose migliorino.

No, la colpa non è – tutta – di Serghei e John: loro s’incontrano davvero, non si coprono l’un l’altro, anche se John qualche rancore nei confronti della moglie potrebbe nutrirlo. Quella donna di mondo, nata in Mozambico, portoghese di nazionalità, poliglotta per lavoro – interprete all’Onu -, straricca per matrimonio – il primo, con il re del ketchup John Heinz III, senatore come Kerry, morto nel ‘91 in un incidente aereo -, gli costò una fetta di presidenza nel 2004: lui era il candidato democratico contro il presidente repubblicano George W. Bush, ma l’America post 11 Settembre non era pronta a eleggere un politico del New England molto compassato e con una first lady troppo cosmopolita.

Quindi, Serghei e John ce la mettono tutta, anche ieri, nel faccia a faccia, l’ennesimo, a Ginevra, dove l’obiettivo non era la pace, e neanche una soluzione politica al conflitto civile, e neppure l’avvio d’una trattativa finalmente seria, ma solo una tregua per potere distribuire aiuti umanitari, partendo dalla disponibilità di Mosca a sospendere per 48 ore i combattimenti ad Aleppo.

E non sarebbe manco giusto affermare che i due ministri, che s’intendono meglio dei loro boss, i presidenti Putin e Obama, molto diffidenti l’un l’altro, non hanno mai cavato un ragno dal buco, Siria a parte: l’accordo con l’Iran sul nucleare è anche farina del loro sacco, ad esempio. Ma la Siria è un cubo di Rubik irrisolto: loro annunciano intese, innescano negoziati; ma, a conti fatti, le vittime - e i rifugiati -aumentano; al-Assad resta dov’è, cioè al potere: la pace non s’avvicina. Sono 66 mesi e mezzo milione di morti che ‘sta storia va avanti.

Gli esperti sentiti dal NYT spiegano che il conflitto siriano è un caso “davvero difficile”, che rende improponibili i paralleli storici. Barbara F. Walter, una docente dell’Università di San Diego, elenca numerosi fattori del paradosso siriano: le radici affondano in un Paese che non è una nazione, dove convivono – anzi, si fanno la guerra – etnie e fedi diverse e dove s’intrecciano interessi ed influenze geo-politiche ed economiche diverse.

Il conflitto appare inesauribile, perché tutte le parti in causa, anche i miliziani jihadisti del sedicente Stato islamico, hanno chi li sostiene dall'esterno, essendo Usa e Russia, Iran e le monarchie saudite, la Turchia e i curdi senza patria di supporto all'una o all'altra fazione. E, se nessuno può perdere, nessuno può vincere, in una sorta di stallo alla ‘1984’, dove i rapporti di forza, quando paiono alterati definitivamente, si riequilibrano.

La struttura del Paese e del conflitto incoraggia le atrocità sui civili, cui i combattenti si mescolano, e alimenta la paura delle conseguenze d’una disfatta, che fa preferire lo statu quo. Le fazioni in lotta sono votate a combattere, più che a vincere; e le potenze internazionali, specie Stati Uniti e Russia, un cui deciso e coordinato intervento metterebbe fine alla guerra, temono un altro Afghanistan o Iraq, non essendoci chi possa credibilmente fare da peacekeeper sul terreno e non essendo loro pronte a farlo insieme. Peggio di tutto il prevalere d’una parte sull’altra potrebbe incendiare tutta l’area, tra euforia da successo e voglia di rivalsa: una ricetta per il disastro.

Non facciamo torto all’intelligenza di Lavrov e Kerry: loro lo sanno; e pure i loro boss lo sanno. Come lo sanno, e magari ci s’aggrappano, al-Assad e il Califfo (e pure Erdogan). Ginevra non produce la pace; al massimo, avvicina una tregua, che salverà qualche vita, magari fra quei 100 mila bambini intrappolati da luglio ad Aleppo, dice l’Unicef. Serghei e John possono darsi la mano e mettere in agenda un prossimo incontro.

Usa 2016: Hillary/Trump, "Sei razzista", "Tu intollerante"

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 27/08/2016

Scambi di accuse di razzismo e di intolleranza fra Hillary Clinton e Donald Trump, in una giornata di campagna rovente negli Stati Uniti. Poche ore prima di un comizio a Reno, in Nevada, l’ex first lady ha pubblicato un video di suprematisti che sostengono la candidatura del magnate: da figure del KKK a Stephen Bannon, il nuovo stratega della campagna elettorale dello showman, creatore del controverso sito ultra-conservatore Breitbart. "Se Trump vince – mette in guardia Hillary -, queste persone potrebbero guidare il Paese". A Reno, poi, Hillary ha raccontato “la lunga storia di discriminazioni” del suo rivale.

Che ha replicato: la Clinton “ci accusa di essere razzisti, ma noi non lo siamo”; e le ha ritorto contro l’accusa di essere “intollerante”. Quello dell'ex Segretario di Stato "é uno dei piu' sfacciati tentativi di distrazione della storia della politica – afferma Trump - … E' il più vecchio copione democratico: quando le loro politiche falliscono, resta loro solo questo logoro argomento: sei un razzista ... E’ un’accusa disgustosa ed è così prevedibile, è  l'ultima spiaggia del politico democratico screditato".

Il magnate è stato introdotto sul palco a Manchester, nel New Hampshire, dall'ex rivale nella corsa alla nomination repubblicana Ben Carson, un nero, che ha detto. "Le vere divisioni, in questo voto, non sono tra la destra e la sinistra, ma tra la gente comune che lavora e l'establishment corrotto che lavora solo per se stesso".

A Reno, Hillary ha sostenuto che la campagna di Trump è costruita sul "pregiudizio e la paranoia": lui "non renderà l'America di nuovo grande, ma riporterà l'America all'odio". L’ex first lady ricorda che il magnate venne denunciato dal Dipartimento della Giustizia perché si rifiutava d’affittare appartamenti a latini e afroamericani. Una causa degli Anni Settanta andata avanti per decenni perché la pratica si perpetuava.

La Clinton ha poi citato il giudice Gonzalo Curiel, che presiede una causa sulla Trump University e che il candidato repubblicano ha bollato come di parte perché "di origini messicane". Elencando una serie di episodi, comprese le asserzioni di Trump che il padre di Ted Cruz fosse coinvolto nell'uccisione di JFK, l’ex first lady ha osservato: questo è quello che succede "quando si prende per vangelo il National Enquirer", uno screditato settimanale di gossip e bufale.

Quanto al rimpasto della squadra di Trump con l’arrivo di Bannon, nessuno si illuda, dice Hillary: "I nomi possono cambiare, come i suprematisti bianchi che ora si chiamano nazionalisti bianchi", ma il loro odio "splende luminoso" come prima.

In precedenza, la Clinton aveva pure lanciato un pesante attacco a Nigel Farage, leader del partito britannico anti-Ue Ukip, che ha fatto campagna con Trump. L’ex first lady ha ricordato che Farage “ha alimentato i sentimenti anti-immigrati per vincere il referendum perché la Gran Bretagna" uscisse dall’Ue: "Farage ha chiesto di bandire i bimbi degli immigrati legali dalle scuole pubbliche e dai servizi sanitari, ha detto che le donne 'valgono meno' degli uomini e vuole eliminare le leggi che impediscono ai datori di lavoro di discriminare in base alla razza … Questa è la persona che Trump vuole dalla sua parte, quando si rivolge agli elettori americani". (fonti vv – gp)

venerdì 26 agosto 2016

Usa 2016: Trump, la spirale negativa e pure la recessione globale

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 26/08/2016

Lui dice che le cose cominciano ad andare meglio, dopo le settimane da incubo post convention, ma i numeri dei sondaggi, per ora, non lo confermano; e quelli dell’economia sono pure infausti. Infatti, un colosso bancario, la Citigroup, calcola che l’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa innescherebbe una recessione globale “dell'ordine dello 0,7 / 0,8%”, a causa dell'incertezza che ne deriverebbe. Lo studio è stato fatto dal capo economista di Citigroup, Willem Buiter, secondo cui, invece, una vittoria di Hillary Clinton, ritenuta molto vicina a Wall Street, non creerebbe allarmi economici globali per "la continuità delle sue politiche".

Un sondaggio nazionale della Quinnipiac University – margine d’errore 2,5% - assegna alla Clinton il 51% delle intenzioni di voto, contro il 41% a Trump. L'ex segretario di Stato resta in testa anche se si considerano altri candidati: 45% contro 38%, con il libertario, Gary Johnson  al 10% e la verde Jill Stein al 4%. Il sito Real Clear Politics, che fa la media di tutti i sondaggi, dà la Clinton al 47,7 e Trump al 41,7%.

Commentando i risultati, Tim Malloy della Quinnipiac University nota che sono "un'ulteriore prova che Trump è scivolato in una spirale negativa, mentre le lancette dell'orologio avanzano".

Il candidato repubblicano basa, invece, il suo ottimismo su alcuni rilevamenti statali, che lo danno avanti in Florida (due punti) e più nettamente in Arizona e nello Utah, che sono, però, due Stati solidamente repubblicani.

Il magnate affida speranze di rilancio al suo nuovo piano sull'immigrazione, che era atteso per oggi, in Colorado, ma che non arriverà prima del 31 agosto, in Arizona. Segno, per i media Usa, di lavori in corso per ammorbidire una linea troppo dura, specie sulla deportazione di massa di 11 milioni d’immigrati senza documenti, che ha finora alienato a Trump il sostegno degli ispanici, senza però compromettere i consensi già acquisiti.

The Arizona Republic, giornale di Phoenix, segnala che all’evento del 31 saranno ammesse non più di 500 persone, contro le migliaia generalmente presenti ai comizi di Trump. Nel New Hampshire, ieri, il magnate ha insistito sul muro, non sulla deportazione: "Costruiremo il muro al 100%" e sarà il Messico a pagarlo”, ha ribadito. Quanto ai rifugiati, essi possono rappresentare il cavallo di Troia dei nostri giorni, ha di nuovo detto, confermando la linea sull'accoglienza finora espressa. (fonti vv – gp)

giovedì 25 agosto 2016

Usa 2016: Hillary incassa un po' di più, ma spende molto di più di Donald

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 25/08/2016

Hillary Clinton incassa un po’ di più di Donald Trump, ma spende molto di più del magnate, i cui conti continuano a essere poco trasparenti (e di rendere pubblica la dichiarazione dei redditi non se ne parla proprio). E’ una tendenza che va avanti dall'inizio della corsa alla presidenza: Hillary ha complessivamente speso 319 milioni di dollari, Trump ‘appena’ 89,5.

Le indicazioni, non sempre chiare, emergono dai conti di luglio delle due campagne, da cui si era già appreso che la candidata democratica aveva raccolto 90 milioni contro gli oltre 80 del candidato repubblicano – per entrambi, cifre record, anche grazie alle convention dei rispettivi partiti -.

Secondo quanto reso noto dalle due campagne alla commissione elettorale federale, l'ex first lady ha speso a luglio quasi 50 milioni, di cui 26 per produrre e trasmettere spot in tv e online, cinque per pagare il suo staff di 705 persone (Trump ne ha solo 70) e due per viaggi.

Trump, che a luglio ha speso più che mai, raddoppiando le cifre di maggio e giugno, s’è fermato a 18,4 milioni, poco più di un terzo della rivale. Inoltre, come riesce a fare spesso, i soldi che escono dalla campagna tornano in qualche modo nelle sue tasche, o finiscono in quelle di familiari e amici.

Così, 8,4 milioni di dollari sono andati all’azienda di web-design Giles-Parscale, il cui presidente, Brad Parscale, è il direttore della campagna digitale di Trump, con la missione di migliorare la raccolta di fondi online. E 7,7 milioni sono serviti a pagare sue aziende o membri della sua famiglia coinvolti nella campagna.

Trump ha speso 3,2 milioni per i viaggi e 1,8 per i gadget che regala ai suoi sostenitori. E’ infine strano che lo showman continui a pagare l'ex manager della sua campagna Corey Lewandowski: 20 mila dollari in luglio, dopo che era stato scaricato per il suo carattere rude e assunto dalla Cnn come commentatore politico (con analisi sempre a favore di Trump).

Se i conti della campagna non sono proprio limpidissimi, ma sono almeno pubblici, come d’obbligo, quelli personali del candidato repubblicano restano ‘top secret’. La nuova manager della sua campagna, Kellyanne Conway, è stata costretta a un brusco dietrofront su questo punto: fino alla primavera, quando lavorava per un rivale di Trump, il senatore Ted Cruz, chiedeva che il magnate fosse trasparente e diffondesse la sua dichiarazione dei redditi.

Ora, invece, non lo ritiene più necessario, almeno finché non sarà stata chiusa l’ispezione fiscale in corso: ''Ho imparato che questa ispezione fiscale è una faccenda seria'', ha dichiarato alla Abc, allineandosi così alla posizione del suo boss. E dai tempi della rielezione di Nixon che i candidati alla presidenza pubblicano la loro dichiarazione dei redditi, pur non avendone l’obbligo. (fonti vv – gp

Usa 2016: Brexit, Farage sul palco con Trump in Mississippi

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 25/08/2016

C’è da scommetterci che non finirà come con Matteo Salvini, che prima lo incontra e poi non se ne ricorda. Questa volta, Donald Trump ha proprio voluto accanto, sul palco di un comizio a Jackson, Mississippi, Nigel Farage, il leader britannico del movimento pro-Brexit.

Farage, che dopo il successo del referendum del 23 giugno ha lasciato la guida dello Ukip, ma è rimasto parlamentare europeo, ha detto di essere lì "per raccontare la storia della Brexit".

L’accoppiata euro-scettica sul palco americano era stata annunciata dalla stampa britannica. Farage ha quindi ‘restituito il favore’ a Trump, che, prima del referendum sulla Brexit, s’era ripetutamente dichiarato favorevole all'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea.

Ancora pochi giorni or sono, Trump - sottolineando la sua sfida all'establishment negli Usa analoga a quella di Farage nel regno Unito - aveva twittato: "Presto mi chiameranno Mister Brexit".

Secondo fonti britanniche, la presenza di Farage sul palco di Jackson non sarebbe un vero e proprio endorsement a Trump (certo, però, molto gli somiglia), ma sarebbe stata soprattutto un’opportunità per spiegare agli americani la storia della Brexit – quanto ne fossero interessati e che cosa ne abbiano capito i sostenitori di Trump del Mississippi resta da vedere –.

Secondo Arron Banks, imprenditore e finanziatore dell'Ukip che è stato fra i maggiori promotori della campagna referendaria del cartello 'Leave.Eu', dopo il comizio c’è stata una cena tra Farage e Trump, che in passato aveva avuto parole di simpatia e incoraggiamento per i 'brexiters'. (fonti vv – gp)

mercoledì 24 agosto 2016

Usa 2016: Trump sguazza nel fango della Fondazione Clinton

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/08/2016, rielaborando post + o - recenti di GpNewsUsa2016.eu

Di nuovo, c’è poco. Anzi pochissimo, Ma basta a Donald Trump, che, del resto, se ne fa un baffo delle inchieste già svolte e delle verità già accertate, per montarci su tutto un ambaradan: se sarà presidente, vuole nominare un procuratore speciale per indagare sulla Clinton Foundation, un ente di beneficenza, ma anche la cassa di famiglia, di Bill e Hillary.

Dopo tre settimane d’inferno, giù a picco nei sondaggi, il magnate riesce di nuovo a costringere sulla difensiva la sua rivale: il magnate approfitta del riemergere di vecchie storie, l’ ‘emailgate’ e, appunto, le donazioni alla Clinton Foundation, e di un passo falso di Hillary con Colin Powell.

Di suo, Trump ci mette poco. Anzi, le strizzate d’occhio ai neri e agli ispanici sono piuttosto goffe. Ma pure la Casa Bianca lo aiuta, raccontando una mezza verità, che per i canoni Usa è una bugia, sul versamento all'Iran di 400 milioni di dollari legato alla liberazione di tre cittadini americani.

Così, lo showman sostiene che il Dipartimento della Giustizia e l’Fbi non meritano più “fiducia”, dopo non avere incriminato la Clinton nell’ ‘emailgate’: “Sono sempre più sconcertato dalla portata della criminalità di Hillary”, che da segretario di Stato avrebbe “supervisionato pratiche corruttive”.

Sono appena saltate fuori altre 15 mila mail, che devono essere valutate – 30 mila sono già state vagliate -, mentre la magistratura ha autorizzato un’organizzazione conservatrice a porre domande per iscritto alla candidata democratica. E il generale Powell, primo nero segretario di Stato, smentisce d’averle mai suggerito di usare un account di posta privato per gli affari di Stato.

I punti di domanda sulla Fondazione di famiglia dell’ex first lady – creata nel 1997, in vent'anni ha raccolto circa due miliardi di dollari -  vennero posti dal Washington Post 18 mesi or sono, ancora prima che Hillary annunciasse la sua candidatura: la Fondazione accettò milioni di dollari da sette governi stranieri, mentre l’ex first lady era segretario di Stato (2009-2012), violando un patto etico con il presidente Obama, non ricevere soldi da governi stranieri durante il suo mandato.

La maggior parte delle donazioni rispettava una clausola dell’accordo, che permetteva ai governi che avevano già fatto donazioni alla Fondazione di continuare a farne. In almeno una circostanza, invece, il patto sarebbe stato violato: nel 2010, i Clinton accettarono 500.000 dollari dall'Algeria per fornire assistenza ai terremotati di Haiti. Allora, l'Algeria stava cercando di rafforzare i rapporti con gli Stati Uniti ed esercitava pressioni sul Dipartimento di Stato perché non sollevasse problemi sul rispetto dei diritti dell’uomo.

La Fondazione, che per molti versi assomiglia a quella gestita da Bill e Melissa Gates, finanzia campagne umanitarie, fornisce cure contro l'Aids a oltre dieci milioni di persone e asserisce d’essere riuscita a fare scendere del 90% il costo dei farmaci anti-malarici.

Donazioni in linea con l’accordo tra Hillary e Obama venivano da Kuwait, Qatar, Oman e inoltre Australia, Norvegia e Repubblica dominicana. La Clinton, una volta lasciato l'incarico, a inizio 2013, è formalmente rientrata nella Fondazione. Ora, però, Bill ha già fatto sapere che, se Hillary sarà presidente, la Fondazione non accetterà più denaro dall'estero né da compagnie private e che lui stesso ne lascerà il Consiglio d’Amministrazione.

Ma Trump ne chiede la chiusura e, dimentico dei propositi di moderazione, espressi contro voglia, ci va giù pesante, tacciando la rivale di cupidigia e corruzione: "I Clinton - dice - hanno trascorso decenni a riempirsi le tasche, occupandosi dei loro donatori anziché dei cittadini americani ... La loro Fondazione è l'ente più corrotto nella storia della politica: va chiusa immediatamente".

Lo showman intima la restituzione di "tutte le donazioni" da Paesi responsabili di "discriminazioni ai danni delle donne, dei gay e di altre" categorie svantaggiate: palese richiamo all'Arabia Saudita, molto generosa con l’ente dei Clinton.

Usa 2016: Hillary avanti, nonostante insinuazioni di Trump su sua salute

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 24/08/2016

Hillary Clinton è davanti a Donald Trump di 12 punti tra i probabili elettori dell’8 novembre: lo indica un sondaggio Reuters/Ipsos. Il 45% degli intervistati sceglierà la candidata democratica e il 33% il rivale repubblicano. E’ il maggior vantaggio dell’ex first lady in questo rilevamento e riflette l’agosto nero del magnate e showman, anche se, negli ultimi giorni, Hillary è di nuovo stata costretta sulla difensiva dai ritorni di fiamma di vecchie vicende, come le polemiche sull’ emailgate e sulla Clinton Foundation.

La campagna di Trump ha anche evocato le condizioni di salute di Hillary, che sarebbero precarie: affermazioni bollate dalla campagna democratica come ''strategia stravagante'' e come ''realtà alternativa'', un modo per distrarre gli elettori dalle questioni che stanno loro a cuore.

L’ex sindaco di New York Rudi Giuliani, oggi uno dei consiglieri di Trump, ha esplicitamente affermato che Hillary è malata: alla Fox, Giuliani ha detto che i media non hanno rilevato il fatto che l'ex segretario di Stato non fa una conferenza stampa da 200 giorni e presenta ''diversi segni di malattia''.

Alle obiezioni del conduttore, Giuliani ha replicato invitando a cercare sul web 'Hillary Clinton illness'' ed a guardare i video online. Lo staff di Hillary ha risposto definendo le affermazioni ''folli teorie cospirative'' e diffondendo la lettera di un medico internista, Lisa Bardack, che attesta le condizioni di salute buone dell'ex first lady.

Hillary, 69 anni, e Trump, 70, sono la coppia più anziana di candidati alla Casa Bianca mai sfidatasi. Logico, in qualche misura, che il loro stato fisico sia un tema della campagna, ma colpisce la brutalità con cui i repubblicani lo sollevano. Per quanto riguarda Trump, test medici ne hanno attestato uno stato di salute eccellente.

S’avvicinano pure i dibattiti in diretta televisiva tra i due principali candidati alla Casa Bianca: si comincia il 26 settembre, all'Università Hofstra di Hempstead, alle porte di New York. Se Trump mantiene la suspense sulla sua partecipazione, la Clinton si dice pronta, ma non nasconde perplessità per l'imprevedibilità dell'antagonista: "Con lui – ha detto a un programma satirico dell’Abc - bisogna prepararsi a cose assurde, pazzesche. Metto in conto di dover andare a pescare nelle esperienze alle elementari".

Il conduttore Jimmy Kimmel ha interloquito, riprendendo un’accusa del magnate a Obama e Hillary: “Chi avrebbe mai pensato che l'opinione pubblica sarebbe stata così entusiasta della co-fondatrice dello Stato Islamico?". "Esprimendosi come si esprime – ha ribattuto Hillary -, Trump aiuta in realtà i terroristi … A volte ho l'impressione che questa campagna presidenziale si svolga in un universo parallelo".

E, riferendosi alle insinuazioni del rivale sulla sua salute, la Clinton s’è detta pronta a "rispondere a domande se sappia di essere ancora viva o meno". Kimmel le ha porto un barattolo di sottaceto, invitandola a svitarne il tappo, tanto per dimostrare di essere abbastanza in forze. (fonti vv – gp)

martedì 23 agosto 2016

Usa 2016: Emailgate, Fondazione, Hillary di nuovo sulla difensiva

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 23/08/2016

Dopo tre settimane d’inferno, Donald Trump riesce di nuovo a mettere sulla difensiva la sua rivale Hillary Clinton: il magnate approfitta del riemergere di vecchie storie, l’ ‘emailgate’ e le donazioni alla Clinton Foundation, e di una gaffe di Hillary con Colin Powell, per venire via dalle corde e respirare un po’.

Di suo, Trump ci mette poco. Anzi, le strizzate d’occhio ai neri e agli ispanici sono piuttosto goffe. Ma pure la Casa Bianca lo aiuta, raccontando una mezza verità, che per i canoni Usa è una bugia, sul versamento all’Iran di 400 milioni di dollari legato alla liberazione di tre cittadini americani.

L’ ‘emailgate’, una vicenda che torna a galla - L'Fbi ha scoperto quasi 15.000 email di Hillary, risalenti al periodo 2009-2013 in cui la candidata democratica era segretario di Stato: mail inviate e ricevute su un server privato e non su quello protetto e ‘regolamentare’ del Dipartimento di Stato.

Si tratta di quasi 15.000 mail che si aggiungono alle circa 30.000 già rese disponibili da Hillary, forse parte delle circa 33.000 ritenute private dall'ex segretario di Stato e quindi fatte distruggere. La Abc, che ne dà notizia, afferma che, quale che ne sia l’origine, si tratta di documenti non ancora sottoposti a verifica.

La campagna della Clinton ha così commentato gli sviluppi della vicenda: "Come abbiamo sempre detto, Hillary Clinton ha fornito al Dipartimento di Stato, nel 2014, tutte le email relative al lavoro in suo possesso … Non sappiamo che cosa siano i documenti ora individuati dall’Fbi, ma se il Dipartimento di Stato riterrà che alcuni siano collegati al lavoro siamo chiaramente favorevoli alla loro pubblicazione".

Il Dipartimento di Stato, dal canto suo, non ha detto se e quando saranno pubblicate le nuove mail. L’indagine finora compiuta dall’Fbi s’è conclusa con un non luogo a procedere nei confronti della Clinton, sottoposta a giugno a un lungo interrogatorio.

L' ‘emailgate’, com’è stato battezzato dalla stampa Usa, è uno dei pochi temi concreti su cui Trump può attaccare la rivale, sollevando dubbi sulla sua affidabilità: l’accusa è di avere esposto a fughe materiale potenzialmente sensibile per la sicurezza nazionale.

Un giudice federale di Washington D.C. ha frattanto disposto che l’ex segretario di Stato risponda per iscritto a domande sull' ‘emailgate’ che un’organizzazione conservatrice ha chiesto di poterle porre. Il giudice Emmet Sullivan non ha però disposto che la Clinton deponga di nuovo sotto giuramento come chiedeva Lawyers for Judicial Watch, appellandosi al Freedom of Information Act. Il giudice ha fissato al 14 ottobre la scadenza per la presentazione delle domande ed ha dato alla Clinton 30 giorni per rispondere. Il che ci porta oltre l’Election Day, l’8 Novembre.

Alcune domande riguarderebbero richieste di accesso gestite da una stretta collaboratrice di Hillary, Huma Abedin, che le avrebbe tutte correttamente indirizzate ai canali ufficiali.

Botta e risposta con Powell – Fra le tante autoreti di Trump, eccone una della Clinton, legata proprio all’ ‘emailgate’. L’ex segretario di Stato Colin Powel nega di averle mai consigliato, quando lei guidava la diplomazia Usa, di usare un account privato per la corrispondenza elettronica. "La sua gente (cioè lo staff della Clinton, ndr) sta cercando di addossarmi la colpa", dice Powell: "La verità è che stava usando il server privato per le sue mail da almeno un anno prima che le inviassi un memo su come mi ero regolato io", riferiscono People e il New York Post.

A tirare in ballo Powell, sarebbe stata proprio la Clinton, rispondendo alle domande dell’Fbi, almeno secondo la ricostruzione del NewYork Times. Il quotidiano sostiene che questo dettaglio è nel dossier consegnato la scorsa settimana dall'Fbi al Congresso. Il giornale cita, inoltre, un libro che sta per uscire di Joe Carson ("Man of the World: The Further Endeavors of Bill Clinton"): si racconta come nel 2009, a una cena data da un altro ex segretario di Stato, Madeleine Albright, Powell suggerì a Hillary di ricorrere a un account di posta personale per tutte le comunicazioni tranne che per quelle "classificate".

Powell, un nero, il primo a ricoprire numerosi incarichi militari e politici, repubblicano anomalo, nel 2008 e nel 2012 sostenne Barack Obama e non ha ancora espresso il suo endorsement 2016. Difficile lo faccia a favore di Trump, ma difficile pure che s’esprima per una candidata che tenta d’usarlo come capo espiatorio.

Trump chiede ai Clinton di chiudere loro Fondazione – Dimentico dei propositi di moderazione, espressi comunque contro voglia, Trump ha duramente attaccato la rivale, tacciandola di cupidigia e corruzione, e ha ingiunto a lei e al marito, l’ex presidente Bill, di chiudere la Fondazione che porta il loro nome e che dal 1997 a oggi ha raccolto circa due miliardi di dollari.

"I Clinton", afferma in un comunicato il candidato repubblicano alla Casa Bianca, "hanno trascorso decenni a riempirsi le tasche, occupandosi dei loro donatori anziché dei cittadini americani. Ormai è chiaro che la Clinton Foundation è l'ente più corrotto nella storia della politica. Va chiusa immediatamente".

E quindi, intervistato dalla Fox, il magnate ha intimato all'organizzazione benefica dell'ex first lady di restituire "tutte le donazioni" avute da Paesi responsabili di "discriminazioni ai danni delle donne, dei gay e di tante altre" categorie svantaggiate: palese l'allusione all'Arabia Saudita, molto generosa nei confronti della Fondazione, specie costei Hillary guidava il dipartimento di Stato.

La settimana scorsa, Bill Clinton aveva annunciato che, se Hillary sarà presidente, la Fondazione non accetterà più denaro dall'estero né da compagnie private, e lui stesso ne lascerà il Consiglio d’Amministrazione. Robby Mook, stratega della campagna di Hillary, ha dal canto suo ricordato che la Fondazione fornisce cure contro l'Aids a oltre dieci milioni di persone, e che è riuscita a fare scendere del 90% il costo dei farmaci anti-malarici.

Una ‘granetta’ supplementare legata alla Clinton Foundation era venuta da un’inchiesta della Cnn, che aveva rivelato che una delle principali collaboratrici della candidata democratica, Cheryl Mills, capo di gabinetto della Clinton a Foggy Bottom, si recò da Washington a New York nel giugno 2012 per un colloquio per un posto presso la Fondazione.

La Mills replica che, mentre era al Dipartimento di Stato, il suo lavoro per la Clinton Foundation fu totalmente volontario. "Cheryl – precisa la campagna di Hillary - ha volontariamente dedicato suo tempo libero a un ente di beneficienza, come ha fatto con altri … Ha pagato di tasca sua il viaggio a New York, ed é stata chiarissima con tutti i soggetti coinvolti che ciò non aveva nulla a che fare con i suoi doveri d'ufficio … L'idea che questo ponga un conflitto di interessi è assurda".

Trump, del resto, se ne fa un baffo delle inchieste già svolte: se diventerà presidente, intende nominare un procuratore speciale per indagare sulla Clinton Foundation. E critica il Dipartimento della Giustizia per aver “agito in modo non etico” nelle indagini sull’ ‘emailgate’.

Il Dipartimento e l’Fbi, a suo avviso, non meritano “fiducia” nell’indagare sulla Fondazione dopo non avere incriminato la Clinton nell’ ‘emailgate’: “Sono sempre più sconcertato dalla portata della criminalità di Hillary”, afferma il magnate, sostenendo che da segretario di Stato “ha supervisionato pratiche corruttive”. (fonti vv – gp)

Usa 2016: migranti, Trump prepara correzione rotta, nega marcia indietro

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 23/08/2016

Qualcosa bolle in pentola tra Donald Trump e la comunità ispanica degli Stati Uniti, almeno quella piccola fetta di tale comunità che non gli è ostile dopo gli attacchi e gli insulti che avevano segnato soprattutto le prime fasi della sua campagna. Il magnate, parlando alla Fox, nega di prepararsi a fare “marcia indietro” sulla deportazione dagli Usa di 11 milioni di immigrati irregolari e sull'erezione d’un muro al confine con il Messico. Ma aggiunge: "Vogliamo dare una risposta equa e seria. Giusta ma dura".

E la sua nuova portavoce Kellyanne Conway dice alla Cnn che l'entità delle deportazioni "deve ancora essere determinata", mentre in passato lo showman aveva apertamente parlato di 11 milioni.

Domenica scorsa, dopo i cambi alla guida della sua campagna, il candidato repubblicano, che ha già aperto al voto dei neri, aveva avuto una riunione a porte chiuse con leader della comunità ispanica a lui favorevoli. In quell'occasione, secondo Univision e BuzzFeed, Trump si sarebbe dichiarato disponibile a definire percorsi per la legalizzazione di alcuni irregolari. E dal suo staff erano venute indicazioni secondo cui il magnate si sarebbe “dimostrato molto aperto", anche se non avrebbe “ancora deciso" un cambiamento di rotta in materia.

L’attenzione è ora puntata su un discorso previsto per giovedì in Colorado, dove Trump dovrebbe proprio parlare di immigrazione. ''Penso che giovedì avremo un piano di cui ogni latino, democratico o repubblicano, potrà essere orgoglioso come strumento realistico e compassionevole per risolvere il problema'' degli immigrati irregolari, ha detto Jacob Monty, un avvocato di Houston che si occupa di immigrazione e che presiede il Consiglio ispanico per Trump.

''Se avremo ottenuto un touchback (regola del football americano che prevede il ritorno della palla agli avversari, ndr), penso che sia una cosa enorme'', aveva proseguito Monty, riferendosi all'ipotesi di fare tornare gli immigrati irregolari al loro Paese perché possano lì chiedere un visto per rientrare negli Usa, come proposto nel 2007 dall'allora deputato Mike Pence, ora candidato vice di Trump. (fonti vv – gp)

lunedì 22 agosto 2016

Usa 2016: solo un mese al voto (anticipato), un affanno in più per Trump

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 22/08/2016

Il conto alla rovescia scandisce 77 giorni all’Election Day dell’8 Novembre. Ma, in realtà, almeno per un americano su quattro, e forse per uno su tre, di quelli che a conti fatti ‘andranno alle urne’, manca molto meno al voto: un mese giusto giusto per quelli del Minnesota, che, il 23 settembre, sarà il primo Stato dell’Unione a rendere possibile il voto anticipato, cioè l’opzione, per chi vuole, di riempire in anticipo la propria scheda.

Iowa e Illinois daranno il via al voto entro fine settembre, Arizona e Ohio il 12 ottobre. In tutto, sono 35 su 50, oltre al Distretto di Columbia, dove sorge la capitale, Washington, gli Stati dell’Unione che prevedono l'opzione dell'early voting, cioè del voto anticipato. Molti di essi sono Stati chiave, in biblico tra democratici e repubblicani.

Come ricordava nei giorni scorsi il New York Times, il voto anticipato sta diventando un fattore sempre più importante nelle elezioni presidenziali: la percentuale di elettori che si esprime prima dell’Election Day è cresciuta dal 20% nel 2004 al 29,7% nel 2008 al 32% nel 2012.

Tutto ciò rappresenta un ulteriore problema per Donald Trump, ora in affanno nei sondaggi rispetto alla rivale Hillary Clinton, perché riduce il tempo di recupero a sua disposizione.

"Quando la situazione è così catastrofica come sta divenendo quella della campagna Trump, non ci sono abbastanza settimane per cambiare la tendenza ed è difficile organizzarsi in modo efficace per catturare una buona quota di 'early voting'", spiegava al NYT Mike Murphy, stratega repubblicano che ha lavorato per Jeb Bush durante le primarie. (fonti vv – gp)

domenica 21 agosto 2016

Usa 2016: Hillary & Donald, luglio d’oro (ma NYT gli raddoppia debiti)

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 21/08/2016

La certezza delle nomination e la stagione delle convention hanno certo avuto il loro peso, nel fatto che luglio è stato il mese record, per la raccolta dei fondi, per entrambi i candidati a Usa 2016: Hillary Clinton ha ricevuto 90 milioni di dollari, Donald Trump 80.

Ma il candidato repubblicano, che rispetto alla rivale democratica ha del suo da spendere, non è esente da problemi finanziari. Se i media non gli perdonano il rifiuto di pubblicare la dichiarazione dei redditi, il New York Times, indagando sull'impero del magnate, un vero e proprio labirinto finanziario, ha scoperto che le aziende da lui possedute hanno almeno 650 milioni di debiti, cioè ben il doppio di quanto si può ricavare dai documenti pubblici correlati alla sua campagna.

Non solo. Il giornale, che a Trump non ne perdona una, ha scoperto che in certi casi le sue fortune dipendono in larga misura da una gamma di sostenitori finanziari, compresi alcuni che il magnate attacca nella sua campagna.

Un esempio: un edificio direzionale su Avenue of the Americas a Manhattan, di cui Trump è co-proprietario, comporta un prestito da 950 milioni di dollari. Tra i creditori ci sono Bank of China, una delle più grandi banche di un Paese che il candidato ha più volte definito un nemico economico degli Stati Uniti, e Goldman Sachs, la banca che secondo il magnate controlla la sua rivale Hillary, avendole pagato 675 mila dollari per le sue conferenze – a fronte dei milioni di dollari a lui prestati -. (fonti vv – gp)

Usa 2016: Trump corteggia voto neri, "cosa avete da perdere?"

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 21/08/2016 

L’argomento è debole, ma questo non è quasi mai un freno per Donald Trump: a corto di suffragi, ché quelli degli uomini bianchi impoveriti ed arrabbiati, non gli bastano, il candidato repubblicano prova a corteggiare i neri e persino gli ispanici, dopo averli rispettivamente trascurati e insultati nella sua campagna.  Lo fa cercando di strappare alla rivale Hillary la comunità afro-americana, che è da sempre vicina ai Clinton: Bill fu definito dalla poetessa Toni Morrison "il primo presidente nero" della storia Usa.

Ma l’argomento è, appunto, debole. Trump dice in un comizio in Michigan e ripete in Virginia: "Visto quanto la comunità afroamericana ha sofferto sotto le amministrazioni democratiche, vi chiedo: ‘Che cosa avete da perdere nel provare qualcosa di nuovo come me?’". Tanto, è l’idea, più poveri di così non diventate.

Il magnate sostiene che "nessuno gruppo in America è stato più danneggiato degli afro-americani dalle politiche della Clinton. Se l'obiettivo di Hillary fosse stato quello d’infliggere dolore ai neri – dice -, non avrebbe potuto fare di meglio”.

Dubbia l’efficacia del messaggio. E secca la replica della candidata democratica: Trump "è così ignorante da essere sconcertante", ha twittato l’ex first lady. Toni a parte, la mossa del magnate appare, a giudizio dei politologi, di scarso impatto: la comunità nera vota tradizionalmente democratico e, ora, tende a votare più di prima della presidenza Obama.

Anche Mitt Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 2012, una figura più tradizionale di Trump e sempre nei limiti del politicamente corretto, riuscì a ottenere solo il 6% dei voti dei neri. Però, lo showman non demorde e sollecita il partito a fare di più e meglio con gli afro-americani; e, sullo stesso registro, incontra il Consiglio nazionale ispanico per Trump, che prova a fargli raggiungere l'elettorato dei latinos, altra minoranza che il magnate fatica ad intercettare, fors’anche perché ha dedicato buona parte della prima parte della sua campagna a insultarla. (fonti vv – gp)